La coppia: analisi della domanda di psicoterapia congiunta
di Fabio Monguzzi
Un uomo onesto, un uomo probo,
si innamorò perdutamente
di una che non lo amava niente.
Gli disse portami domani
il cuore di tua madre per i miei cani
lui dalla madre andò e la uccise
dal petto il cuore le strappò
e dal suo amore ritornò.
Non era il cuore, non era il cuore
non le bastava quell’orrore
voleva un’altra prova del suo cieco amore.
Gli disse amor se mi vuoi bene
tagliati dei polsi le quattro vene.
Le vene ai polsi lui si tagliò,
e come il sangue ne sgorgò
correndo come un pazzo da lei tornò.
Gli disse lei ridendo forte
l’ultima tua prova sarà la morte.
E mentre il sangue lento usciva
e ormai cambiava il suo colore
la vanità fredda gioiva
un uomo si era ucciso per il suo amore.
Fuori soffiava forte il vento
ma lei fu presa da sgomento
quando lo vide morir contento.
Morir contento e innamorato
quando a lei niente era restato
non il suo amore non il suo bene
ma solo il sangue secco delle sue vene.
(Ballata dell’amore cieco.
F. De Andrè, 1966)
L’incontro con la coppia è l’incontro con un organismo complesso, dotato di una economia affettiva peculiare che trascende l’individualità.
La coppia infatti è un sistema diadico sovraindividuale caratterizzato da una sua trama ed una sua struttura che si dispiega nel qui ed ora del colloquio chiamandoci a identificarne i diversi livelli di funzionamento.
Nell’incontro con una coppia di pazienti che richiede una psicoterapia congiunta, ossia un intervento clinico rivolto alle problematiche della relazione, di fondamentale importanza appare la domanda circa le ragioni che spingono le due persone, tra le quali esiste un legame affettivo ed una storia comune, a formulare una richiesta di aiuto in termini di coppia.
Se da una parte approntare interventi con le coppie è una prassi operativa ormai consolidata, anche se in un passato non così lontano l’idea di trattare congiuntamente due pazienti era ritenuto da un punto di vista psicoanalitico poco ortodosso, non deve essere perso di vista il fatto che si tratta pur sempre di esporre le proprie fantasie, angosce e pensieri alla presenza dell’altro (1).
L’esperienza clinica ci insegna che una delle prime domande che ciascun membro della coppia si pone è proprio: “come farò a comunicare questo aspetto di me all’altro?” , “quello che dirò come potrà modificare il clima del mio matrimonio e ciò che l’altro pensa di me?” e ancora “dove ci porteranno questi colloqui?” (2). A differenza di un setting individuale nel quale il paziente può utilizzare lo spazio esclusivamente in relazioni ai propri bisogni ed in un certo senso avere il controllo della direzione della propria terapia, in un setting congiunto tale livello di modulazione è necessariamente condiviso con il partner e per questo può essere percepito come potenzialmente più pericoloso.
L’incontro congiunto sollecita infatti importanti fantasie circa il livello di sofferenza che potrebbe derivarne e che entrambi i partner sono disposti a sopportare e ad accettare di provocare nell’altro.
Si ritrovano questi aspetti nelle primissime fasi, talvolta ancora prima di effettuare la prima seduta ed emergono spesso sotto forma di incertezze e inquietudini circa l’indicazione terapeutica.
Il processo di decisione con il quale viene attivata una domanda di aiuto è un primo elemento importante che ci mette in contatto con l’economia psichica della coppia, in particolare con le modalità con le quali la coppia sta affrontando questo aspetto, attraverso il quale assistiamo al dispiegamento delle difese comuni ed alle modalità con le quali esse vengono interpretate e distribuite nel gioco di ruoli.
Riflettendo sulle modalità di ricerca di soluzioni delle problematiche coniugali è opportuno ricordare come esse trovino ampio spazio di analisi e trattamento anche all’interno di setting individuali e gruppali.
L’esperienza clinica ci segnala inoltre come la richiesta di terapia di coppia non raramente avvenga anche quando uno o entrambi i coniugi hanno recentemente effettuato o hanno persino in corso un trattamento individuale.
Tale eventualità, peraltro non rara, sollecita alcuni interrogativi circa l’opportunità di avviare anche solo una consultazione di coppia in prossimità di psicoterapie individuali di uno dei partner, ci si chiede infatti, il significato della complementarietà dei dispositivi terapeutici.
Porci, in qualità di psicoterapeuti, degli interrogativi circa le ragioni per le quali una coppia sceglie una psicoterapia congiunta per affrontare le proprie difficoltà coniugali significa entrare nel vivo dell’osservazione clinica, poiché tale quesito orienta la nostra attenzione clinica verso il legame di coppia, obiettivo fondamentale perché come vedremo in questo genere di psicoterapie il paziente è proprio la relazione.
L’analisi della domanda della coppia diventa allora un punto di partenza che permette di strutturare la fase osservativo-diagnostica e di ricondurre i dati clinici provenienti dai diversi livelli di osservazione all’interno di un quadro in grado di rispondere alla domanda circa la natura del legame che è stato costruito.
La domanda di terapia congiunta può essere confusa o distorta e portare con sé un ampio grado di complessità componendosi di bisogni che si situano a diversi livelli di profondità e consapevolezza; il lavoro del terapeuta implica il loro riconoscimento ed un delicato lavoro di trattamento, muovendosi tra i diversi livelli della domanda in un gioco di tessitura rispettoso del contesto clinico non ancora connotato in senso terapeutico (3).
L’esigenza di coinvolgere un terzo nel proprio scenario coniugale è portatrice di bisogni regressivi di dipendenza, il terapeuta è rappresentato dalla coppia come colui che assolve funzioni di arbitrato, di giudizio al quale affidare il compito di dirimere le posizioni e indicare la direzione di marcia.
Si tratta di un transfert precostituito, che precede il transfert inteso come riattualizzazione nella relazione terapeutica della configurazione oggettuale interna, caratterizzato da aspettative di presa in carico infantile e dal desiderio regressivo di affidarsi ad una funzione pensante esterna.
Possono essere presenti nel contempo aspetti rabbiosi ed aggressivi legati alla condizione di bisogno di una funzione genitoriale esterna, in un’ambivalenza tra desideri di crescita e timori e difficoltà nel raggiungere una condizione di autonomia affettiva.
La coppia dunque contiene ed esprime simultaneamente più livelli evolutivi, un funzionamento adulto ed un funzionamento più arcaico ed infantile.
In questa fase è possibile, in relazione a quanto osservato, effettuare una riformulazione della domanda e verificare se, allo stato attuale, la richiesta di terapia può essere una risposta opportuna alle difficoltà evidenziatesi o se è invece necessario suggerire interventi di natura differente.
La proposta è dunque un recupero della dimensione clinica come fase nella quale effettuare una ricognizione diagnostica relazionale che metta in evidenza i nuclei patologici e le aree funzionali di scambio e permetta di proporre una terapia con obiettivi chiari e condivisi.
L’ipotesi che verrà esplorata è che il setting di coppia offra l’opportunità di rendere visibili e trattabili aree della mente che si dispiegano nella relazione di coppia che possono non essere osservabili o trattabili in setting differenti.
E’ infatti solo alla presenza dell’altro in seduta che è possibile l’attivazione di aree psicopatologiche individuali che si sono organizzate intorno al legame di coppia e che diversamente potrebbero rimanere silenti, senza invadere o disturbare necessariamente altri ambiti del funzionamento della personalità dei coniugi (2).
E’ possibile dunque ipotizzare che è la particolare natura dell’”incastro” dei mondi interni dei coniugi che può determinare la scelta di una psicoterapia congiunta.html/body/p[3]
La coppia si costituisce con l’obiettivo di avere accesso a una dimensione innovativa ed evolutiva, inconsciamente la ricerca è, attraverso movimenti riparativi, nella direzione di una modulazione della sofferenza psichica.
Il matrimonio può essere infatti essere inteso anche come una relazione terapeutica naturale (4).
Le esperienze affettive e relazionali sperimentate nei propri contesti familiari di provenienza, con il loro corollario di bisogni, aspettative, desideri, tendono ad organizzarsi entro schemi di relazioni e ad essere riprodotte nelle nuove relazioni affettive conservando una certa disponibilità al contributo dell’altro che deve tuttavia possedere caratteristiche opportune per corrispondervi.
Nell’analisi degli aspetti costituitivi e dei miti fondativi delle coppie colpisce la precocità e l’accuratezza con la quale avviene la scelta del partner, del quale vengono colti sin dai primi istanti le caratteristiche che si adattano ai propri bisogni preconsci ed inconsci.
In questo senso potremmo dire che ciascuno è portatore, nella scelta del partner e dunque nella costituzione della relazione, di una gamma limitata d’ingaggio, poiché l’incontro con l’altro tende a sollecitare ed attivare certi aspetti piuttosto che altri a seconda delle caratteristiche personologiche di ciascuno.
Ciascuno dei partner importa nella coppia una serie di fantasie, desideri, angosce, che appartengono al suo mondo interno ma la cui provenienza è anche di carattere transgenerazionale (5). Tale copione interno si interseca dinamicamente con quello del coniuge generando una combinazione delle rispettive trame narrative e mitologiche.
Nella ricerca del partner e di una situazione di coppia ciò che viene ricercata è una dimensione di intimità, di costanza affettiva che garantisca una continuità sufficientemente rassicurante con le precedenti esperienze relazionali ed affettive ma nel contempo sia portatrice di potenzialità trasformative, creative e generative, oltre che riparative, rappresentando un’opportunità di crescita, affermazione e maturazione.
La continuità è anche una continuità con la rappresentazione di sé dei partner che in qualche modo necessitano di ritrovarsi nell’altro, ma nel contempo attivare versioni di sé inedite e feconde.
L’equilibrio tra forze trasformative e forze conservative e distruttive è di carattere dinamico.
La tensione verso il riproporre nella coppia modalità relazionali negative subite nell’infanzia con uno od entrambi i genitori, o l’adesione a modelli di relazioni di coppia osservati nella relazione genitoriale è sempre presente, seppur con diverse intensità, nella relazione attuale (6).
L’osservazione dei processi identificatori dei coniugi con i propri genitori, le rappresentazioni delle rispettive coppia interne e i processi di scelta del partner e di proposta inconscia di relazione (4) possono rivelare la qualità del legame costituito.
Ciò che si osserva è come i pazienti ricerchino una dimensione di vicinanza affettiva diverse e migliore di quella sperimentata nel contesto familiare di provenienza, spesso caratterizzata da un riconoscimento affettivo subordinato alla corresponsione narcisistica dei bisogni dei genitori. Tuttavia appaiono molto spaventati all’idea di non riuscire a trovare modalità diverse da quelle originarie e soprattutto dall’incontro con qualche cosa di ignoto, e come tale percepito come minaccioso perché sconosciuto, foriero di problemi, la reazione spesso è l’assunzione di una posizione difensiva per proteggersi dall’impatto con un oggetto nuovo, dall’emozionalità, da problemi e dalle domande sollevate da tale impatto.
La relazione di coppia è, dunque, un campo interpersonale all’interno del quale si possono produrre intimità, comprensione, sostegno, complicità, passione permettendo la crescita personale e l’accesso all’aspetto innovativo delle relazioni, oppure dare luogo a incomunicabilità, prevaricazioni, delusioni, violenze, provocando una paralisi che impedisce l’evoluzione.
Vi sono pazienti che vivono, pur con diversi gradi di intensità e consapevolezza, rapporti di coppia che assomigliano ad incubi: relazioni desertificate, castranti, paralizzanti, claustrofiliche, persecutorie, perverse.
Relazioni spesso dolorosamente sperimentate in assenza di una reale consapevolezza.
Si assiste, nella pratica clinica, a coppie che pur vivendo in questo modo non riescono a modificarsi e, quel che è più tremendo, neppure ad affrancarsi, condannate alla sospensione, in una dimensione che non è lo stare insieme ma neanche il separarsi.
Dal punto di vista clinico ciò che si osserva è il tentativo di respingere ed espellere aspetti di Sé negativi, forzando l’altro ad interpretare quelle parti che non possono essere assunte in proprio perché troppo dolorose, disturbanti o inaccettabili (4).
Ciò avviene attraverso un meccanismo di consegna di parti di sé all’altro, assunto a custode ed interprete della propria vita, al quale viene chiesto inconsapevolmente di rappresentare, compensare, vicariale, risarcire, soddisfare, bisogni emotivi inevasi ed aspetti irrisolti della propria vita emotiva, dei quali non si vede la possibilità e talvolta la necessità di prendersene cura individualmente.
I meccanismi di proiezione nelle loro varie forme hanno un prezzo: l’evitamento della consapevolezza delle parti proiettate e quindi di una parte di sé stessi. Fino a quando permane questo incastro di identificazioni proiettive nulla cambia, ognuno controlla quello che ha messo intrusivamente nell’altro; ci si tiene vicini al partner, custode di quella parte del sé non riconosciuta, per non riprenderla e farci i conti liberando l’oggetto dalle proiezioni; in questo modo si garantisce invece il mantenimento degli assetti (7).
L’altro, in una prospettiva di perfetta complementarietà, come in un incastro magico, non si disappropria di quanto proposto dal partner, ma se ne fa interprete, proponendo a sua volta, in un gioco di identificazione proiettive reciproche, un copione interno speculare.
Ecco che allora siamo di fronte ad un incastro di coppia che da vita nel legame, ad una sorta di contratto, che disegna la relazione, ma che abbatte anche i confini dell’Io (8).
Tutto si confonde, non si capisce più la provenienza e l’appartenenza dei bisogni emotivi, se il coniuge è ciò che è necessario che sia o se è altro da Sè.
L’affido di parti di Sé all’altro non è interpretabile necessariamente come negativo o patologico, il confine tra un affido con funzione di sperimentazione e comprensione, che mobilita una reazione dinamica e favorisce uno scambio comunicativo e un affido con valenze evacuative e di controllo, è una distinzione non facile dato che all’interno della relazione di coppia capita spesso le modalità si alternano e sovrappongono (9).
L’accordo inconscio derivante tra i partner spesso ha un carattere collusivo (4), ossia è volto alla condivisione, a livello inconscio, della garanzia reciproca di non avere accesso o modificare alcune aree della propria vita emotiva, mantenendo intatti i propri oggetti interni danneggiati.
Nelle situazioni di crisi ciò che pare accadere è che una serie di aspettative non vengano di fatto corrisposte, innescando profondi vissuti di delusione e disillusione determinando nel corso del tempo ad aumentare il divario tra matrimonio immaginato e matrimonio reale.
Spesso sono i fatti della vita che impongono riadattamenti all’interno dell’equilibrio originario contribuendo a modificare il centro di gravità della vita psichica della coppia. E’ in prossimità dei passaggi evolutivi determinanti quali nascita dei figli, o scomparsa dei genitori, o in relazione a un disequilibrio dell’evoluzione e crescita personale dei coniugi o ancora a seguito di importanti avvenimenti con valenza traumatica che può innescarsi una crisi che la coppia non si trova preparata a gestire.
Tale crisi è connessa al fatto che uno o entrambi i coniugi possono smettere, improvvisamente o progressivamente, di esercitare quella funzione di recettore e contenitore così come originariamente avveniva. Questi movimenti possono generare intensi vissuti di allarme proprio in relazione al “monitoraggio affettivo reciproco” (9) in atto e giungere a compromettere l’intimità affettiva e l’area di scambio originaria.
Da un punto di vista clinico ciò si osserva quando i coniugi esprimono vissuti di allontanamento dell’altro da modi di essere originari, di tradimento degli “accordi” iniziali, di sentimenti di esclusione ed estromissione dalla vita del partner.
Quando le aree conflittuali condivise, ossia gli elementi psicopatologici organizzatori della coppia, intorno ai quali avviene la collusione difensiva, si trovano a dover essere rimaneggiate possono emergere angosce antiche connesse alle relazioni primarie che trovavano un loro equilibrio nella regolazione affettiva reciproca fatta anche di valenze profondamente difensive.
L’impossibilità di assumersi in proprio la gestione di aspetti disturbanti può sfociare in una modalità di gestione relazionale della sofferenza psichica tale per cui aspetti inaccettabili di sé possono venir attribuiti, attraverso un meccanismo di induzione narcisistica (10), all’altro, giungendo poi ad accusarlo, respingerlo ed attaccarlo per tali azioni, confermando così, a sé stessi, la propria pseudoadeguatezza..
In questo modo può avvenire quello che in termini comportamentali e fenomenologici i terapeuti sistemico-relazionali hanno osservato e descritto come processi di istigazione.
La relazione di coppia può essere dunque caricata di conflitti irrisolti, legati ai processi di separazione-individuazione dei membri, e spesso rappresenta un apparato attraverso il quale avviene il passaggio verso l’individuazione. La relazione di coppia può essere strumento di individuazione affettiva e proprio per questo può trovarsi invasa da tematiche di questa natura.
La ricerca attivata dai partner in questo senso può condurli, come abbiamo visto, all’uso dell’altro in termini antievolutivi e paralizzanti.
La coppia può funzionare se ciascun partner possiede la libertà interna di interessarsi alla personalità dell’altro, se è in grado di rapportarsi con l’altro concepito come qualcosa di separato da sé, ossia un oggetto con caratteristiche proprie ed indipendenti, con pensieri e modalità autonome con il quale poter negoziare, in una contrattazione adulta, le modalità di relazione e di vita comune.
La domanda di terapia congiunta contiene spesso la richiesta di una maggior definizione dell’identità della coppia, e indirettamente anche di quella individuale, e in fondo il desiderio che avvenga, da parte del terapeuta, l’investitura e la legittimazione del matrimonio.
Nel corso della fase di osservazione ed esplorazione appare opportuno, chiedersi, quale livello di intervento la coppia ci stia domandando e quale intervento appare praticabile.
E’ possibile che nei colloqui si osservino delle aree della relazione nelle quali si rilevino sofferenze della funzionalità, o nuclei collusivi anche di una certa significatività che tuttavia la coppia non pare in grado di riconoscere come problematiche o non intende affrontare.
L’architettura della coppia può presentare alcuni disequilibri che possono tuttavia avere la funzione di garantire il mantenimento dei rispettivi assetti psichici dei coniugi ed in assenza dei quali è possibile ipotizzare l’emergere di situazioni di scompenso.
L’uso che i coniugi mostrano di voler o poter fare del colloquio congiunto segnala la natura dei conflitti con i quali intorno ai quali si dibattono ed è informativo delle aspettative che hanno nei confronti del terapeuta.
E’ attraverso lo strumento del transfert e del controtransfert che si amplia la comprensione della coppia al di là del un linguaggio simbolico e che segnala la possibilità di entrambi di accedere ad una differente rappresentazione della relazione diadica e triadico.
Effettuare una segmentazione tra una fase di osservazione e consultazione potenzialmente svincolata da una più propriamente terapeutica è una modalità che corrisponde ad un assetto mentale del terapeuta, un setting interno, che lascia spazio alla possibilità di comporre nella mente del clinico, una rappresentazione del legame di coppia maggiormente libera da premesse e pregiudizi legati alle necessità di un intervento.
Il lavoro con la coppia sollecita nel terapeuta importanti movimenti di identificazione e controidentificazione con il proprio modello di coppia interna e con la propria esperienza di coppia reale.
Uno spazio di pensiero con finalità principalmente osservative ha anche l’obiettivo di strutturare una prima alleanza di carattere diagnostico in un clima di sperimentazione reciproca (11) senza che la coppia si senta precocemente ingaggiata in un percorso di cura che potrebbe essere percepito come pericolosamente destrutturate. In un setting così costituito la coppia può sentirsi più libera di esprimersi in un momento conoscitivo che può accogliere ansie, dubbi ed incertezze di affrontare un percorso comune alla presenza di un terzo.
Bibliografia
(1) Fisher J.V. L’ospite inatteso – Dal narcisismo al rapporto di coppia – R.Cortina, Milano 2001
(2) Corigliano A.N. (a cura di) Curare la relazione: saggi sulla psicoanalisi e la coppia – F.Angeli Milano 1999
(3) Monguzzi F. “Il processo di supervisione nelle comunità per minori: osservazioni cliniche” in PSYCHOMEDIA Comunità e strutture Intermedie - Centri Diurni e Day Hospital (www.Psychomedia.it)
(4) Dicks H.V. Tensioni coniugali – Borla, Roma 1992
(5) Corigliano A.N. “Il transgenerazione tra mito e segreto” in Interazioni, 1, 1996
(6) Corbella S.“Il peccato originale: la ripetizione coatta di modelli relazionali subiti nell’infanzia” in Gli Argonauti on line (www.argonauti.it)
(7) Monguzzi F, Bianchini B., Dalla Negra L. “Reflections on psychotherapy of the couple” relazione presentata al Convegno Internazionale “La generacion del significado en la esperiencia analitica. Misterio, turbolencia y pasìon” - Barcellona 18/19/20 ottobre
(8) Cigoli V.(a cura di) Terapia familiar.,L’orientamento psicoanalitico – F.Angeli, Milano 1983
(9) Norsa D., Zavattini G.C. Intimità e collusione – R.Cortina, Milano 1997
(10) Ruffiot A., Eiguer A. e al. Terapia familiare psicoanalitica – Borla, Roma 1983
(11) Orefice S. La sfiducia e la diffidenza – R.Cortina, Milano 2002
fonte: Psychomedia