La famiglia come sistema che si modifica nel tempo
La famiglia come sistema che si modifica nel tempo
Le famiglie sono costituite da coloro che hanno un passato ed un futuro in comune; racchiudono l’intero sistema emozionale di almeno tre generazioni (plurigenerazionale), legate da vincoli di sangue, legali e storici (McGoldrick, e Carter, 1980). Già Bowen (1978), sottolineava che in ogni fase del processo evolutivo (ciclo vitale) di una famiglia si devono fare i conti con almeno tre generazioni, poiché in ogni fase esiste un ruolo complesso, che distingue ogni membro dall’altro e questo ruolo definisce gli aspetti intersoggettivi o mitici delle relazioni interpersonali della famiglia (Andolfi e Angelo, 1988). Le relazioni con i genitori, con i fratelli e con altri membri della famiglia, passano infatti, attraverso diversi stadi nel corso del ciclo vitale; i confini si spostano, la distanza psicologica tra i membri si modifica ed i ruoli tra i vari sottosistemi ed all’interno di essi sono costantemente ridefiniti (Cicirelli, 1982, 1985).
La famiglia, come sistema soggetto a continue modifiche nel tempo, possiede caratteristiche di base differenti da tutti gli altri sistemi: incorpora nuovi membri attraverso la nascita, l’adozione o il matrimonio, mentre l’abbandono del gruppo da parte dei membri, avviene unicamente con la loro morte; nessun altro sistema è soggetto a questi vincoli. Inoltre, le famiglie, pur possedendo ruoli e funzioni al loro interno, esprimono il proprio valore principale nelle relazioni, che sono insostituibili (McGoldrick et al., 1980).
Gli eventi del ciclo vitale e gli eventi stressanti esercitano un’influenza continuativa sullo sviluppo familiare per un lungo periodo di tempo: esperienze dolorose, come una malattia o la morte, risultano particolarmente difficili da elaborare e possono esercitare un impatto a lungo termine sulle generazioni future (Hadley, Jacob, Milliones, Caplan e Spitz, 1974).
Secondo le autrici Walsh (1978) e McGoldrick (1977), un evento significativo del ciclo vitale, come la morte di un nonno, quando si verifica non lontano nel tempo da un altro evento del ciclo di vita, come la nascita di un figlio, è correlato all’insorgere dei sintomi in una transizione molto successiva nel ciclo di vita familiare (lo svincolo della generazione successiva).
Sempre secondo la Walsh (1995), ogni sistema (individuale, familiare e culturale) può essere rappresentato lungo due dimensioni temporali: quella storica (l’asse verticale) e quella evolutiva (l’asse orizzontale).
Per l’individuo, l’asse verticale include l’eredità biologica e la programmazione comportamentale attraverso il temperamento del singolo e la predisposizione genetica; l’asse orizzontale, si riferisce allo sviluppo emozionale cognitivo e fisico nel corso della vita (Carter e McGoldrick, 1989).
A livello familiare, l’asse verticale comprende la storia della famiglia, i pattern relazionali e funzionali, che sono trasmessi lungo le generazioni: comprende tutti gli atteggiamenti familiari, i tabù, le aspettative, le premesse e le tematiche che ci accompagnano nella crescita.
Il flusso orizzontale a livello familiare descrive il procedere della famiglia nel tempo, i suoi adattamenti ai cambiamenti ed alle transizioni lungo il ciclo vitale, includendo sia gli stress evolutivi prevedibili, che gli eventi non prevedibili (Carter, 1978).
A livello culturale, l’asse verticale include la storia culturale, gli archetipi, gli stili e le credenze, che sono state tramandate da una generazione all’altra; la storia di un gruppo ed, in particolare, l’eredità di eventi traumatici, come ad esempio l’olocausto degli Ebrei, eserciteranno un’influenza notevole sulle famiglie e sugli individui nel corso della loro esistenza.
L’asse orizzontale, si riferisce agli eventi attuali ed al loro impatto sulle famiglie e sull’individuo in momenti precisi (Walsh, 1995).
Un sano sviluppo individuale ha bisogno di una condizione di equilibrio tra valori primari quali, connessione e separazione, appartenenza e individuazione, adattamento e differenziazione (Walsh, 1995).
La famiglia tra continuità e cambiamento
Le famiglie sono unità dinamiche soggette a cambiamenti continui, che possono manifestarsi a diversi livelli strettamente interdipendenti (Malagoli Togliatti et al., 2012).
Nel livello individuale ciascun membro della famiglia evolve, cresce e si trasforma nel tempo, per cui ogni famiglia deve confrontarsi e assecondare le trasformazioni relative allo sviluppo emotivo, cognitivo e fisico dei suoi diversi componenti (una trasformazione evidente, a titolo esplicativo, riguarda il processo di crescita di un figlio o di invecchiamento di un adulto).
Il livello interpersonale riguarda il modo con cui le relazioni esistenti tra i vari membri della famiglia evolvono, portando significative modificazioni all’interno del nucleo familiare stesso. Ad esempio, le relazioni tra genitori e figli, si modificano man mano che i figli crescono. Durante l’infanzia, infatti, si assiste ad una relazione caratterizzata da una dipendenza dei figli verso i genitori, che diminuisce con la loro crescita, fino allo sviluppo di un rapporto sempre più paritario, quando i figli diventano adulti e i genitori anziani.
Il livello gruppale riguarda i cambiamenti che intervengono in seguito a trasformazioni della composizione familiare (per l’entrata di un membro nella famiglia, oppure con l’uscita dal nucleo di uno dei membri).
Il livello sociale, infine, si riferisce al cambiamento della struttura relazionale della famiglia, in seguito alle trasformazioni che avvengono nel contesto sociale e culturale di cui fa parte.
Il gruppo famiglia, oltre alla capacità di adattarsi ai continui movimenti trasformativi, deve poter conservare una propria “stabilità”, per cui, nel corso degli anni, deve poter soddisfare due esigenze apparentemente contrapposte tra loro: quella di trasformarsi, in relazione ai diversi bisogni evolutivi dei singoli componenti, e quella di conservare il senso della propria identità e continuità nel tempo.
Unitamente ai processi che regolano il cambiamento (morfogenetici), si riscontrano i meccanismi che la famiglia mette in atto per conservare se stessa (morfostatici).
Entrambi i processi, morfogenetici e morfostatici, appaiono interdipendenti, poiché la possibilità per una famiglia di rimanere se stessa, è legata alle sue capacità di mutare in relazione ai bisogni di cambiamento dei suoi componenti ed ai bisogni che intervengono nell’ambiente in cui è inserita.
Ciascun membro della famiglia possiede il proprio compito evolutivo, inteso come l’insieme degli obiettivi finalizzati alla realizzazione di ciascun membro in un determinato periodo di vita della famiglia; il portare a termine con successo tale compito, dipende ed a sua volta influenza, quello degli altri membri.
L’interdipendenza tra le varie generazioni (Hill, 1970), che compongono la famiglia è stata valutata su almeno tre generazioni: ciascun individuo, oltre che in relazioni di tipo orizzontale (tra soggetti appartenenti alla stessa generazione), è impegnato in relazioni di tipo verticale (con membri di generazioni diverse).
Lo sviluppo familiare è concepito come scandito in eventi critici, i quali innescano processi trasformativi, necessari al passaggio da una fase all’altra del ciclo di vita. Ciascun evento critico assume una funzione positiva, poiché attiva processi evolutivi, introducendo nuove variabili e compiti di sviluppo, che modificano le precedenti modalità di funzionamento della famiglia. Ciascun evento, non appare critico in sé: per comprenderne il peso assunto all’interno di una famiglia, è necessario rifarsi alle aspettative ed alle attese individuali, familiari e sociali che lo anticipano (Malagoli Togliatti et al., 1991 e 2012).
I significati che una famiglia attribuisce ad un particolare evento critico sono correlati alle regole implicite ed esplicite del contesto socio – culturale di appartenenza (Malagoli Togliatti et al., 1991).
Con eventi critici PREVEDEBILI, si intendono quegli eventi che la maggior parte delle persone e delle famiglie incontra nel corso del proprio ciclo di vita e che sono percepiti come attesi (matrimonio, nascita dei figli, ecc.).
Si definiscono IMPREVEDIBILI, quegli eventi, che anche se frequenti, non sono del tutto prevedibili (malattie, morti premature, crisi economiche).html/body/p[3]
Gli eventi imprevedibili, proprio perché inattesi, mettono la famiglia di fronte a difficoltà maggiori, rispetto agli eventi prevedibili, di cui culturalmente, l’essere umano possiede lo schema operativo sul come affrontarli (Malagoli Togliatti et al., 2012).
Tali eventi costituiscono sempre un fattore di “crisi” nella vita familiare (Terkelsen, 1980). L’aspetto critico dell’evento consiste nel fatto che, di fronte ad esso, le abituali modalità di funzionamento della famiglia potrebbero risultare inadeguate e, qualora non siano attivati processi di riorganizzazione del gruppo familiare, attraverso modificazioni a livello strutturale e relazionale, potremmo assistere ad una sofferenza dell’organizzazione familiare, la quale potrebbe sfociare nel comportamento sintomatico di un suo membro (Malagoli Togliatti et al., 1991).
Le microtransizioni rappresentano dei cambiamenti che si verificano giorno dopo giorno e che permettono di acquisire abilità e competenze in maniera graduale (Malagoli Togliatti et al., 2012). Lo sviluppo viene considerato come un processo continuo fatto da microtransizioni, all’interno del quale oscillano vecchie e nuove modalità comportamentali (Fruggeri, 1997).
Nel corso della propria esistenza, la famiglia è coinvolta ogni giorno in situazioni che comportano un cambiamento delle modalità relazionali ed una rinegoziazione dei ruoli e delle regole (Malagoli Togliatti et al., 1991 e 2012). Nelle microtransizioni (Fruggeri, 1997) coesistono vecchie e nuove modalità comportamentali, connesse a livelli di sviluppo precedenti e successivi, le quali conducono a diversi esiti: in alcuni casi, ad esempio, si assiste al ripetersi di comportamenti che favoriscono il mantenimento di queste modalità relazionali ad un livello di sviluppo precedente alla transizione, che diventano quindi inadeguati (continuare ad allattare oppure ad imboccare il proprio figlio oltre i termini). In altri casi, invece, avviene esattamente il processo opposto, per cui sono favoriti quei cambiamenti, che si trovano ad un livello superiore alla microtransizione (affidare ad un bambino di 7 anni la custodia del fratello minore).
L’esito auspicabile, che consente uno sviluppo adeguato, si evidenzia laddove si realizzano scambi relazionali, che regolano i comportamenti ad un livello adeguato di competenza (Malagoli Togliatti et al., 2012).
Ciascun evento critico introduce dei compiti di sviluppo specifici (compiti psicosociali che la famiglia deve affrontare per rispondere alle esigenze di trasformazione e di crescita caratteristiche di un dato momento evolutivo).
La definizione ed il significato che ciascuna famiglia attribuisce ad un evento critico sono influenzati dalle credenze e dagli stereotipi facenti parte di un dato contesto sociale e rappresentano sia una risposta che una strategia adattiva messa in atto di fronte all’evento critico stesso (Malagoli Togliatti et al., 1991 e 2012).
Le relazioni che legano i membri di una famiglia (Malagoli Togliatti et al., 1991), assumono un carattere organizzativo, dando unità ad un insieme di diversità (i singoli componenti) in un contesto (la famiglia) dove è garantita la continuità e l’identità di ognuno, sebbene in un processo di cambiamento (crea storia) ed in una trama di vincoli (ha una storia).
Le relazioni familiari hanno un doppio aspetto, di vincolo e di risorsa: il vincolo è dato dall’assunzione del ruolo in relazione ad un evento; il ruolo di figlio viene determinato da un evento naturale, la nascita, che non si può scegliere, così come la famiglia in cui nascere.
Il legame familiare, oltre a vincolare la persona ad un ruolo, possiede anche un aspetto di risorsa, in quanto definisce, organizza e crea relazioni (Malagoli Togliatti et al., 1991). Ad esempio, la risorsa è rappresentata dalla possibilità del legame familiare di permettere la differenziazione degli individui.
Le risorse di cui la famiglia dispone e che riesce ad attivare rappresentano la maniera in cui affrontare una determinata fase di transizione e i relativi compiti di sviluppo (Malagoli Togliatti et al., 2012).
Le risorse si dividono in personali (caratteristiche di personalità, stato di salute, istruzione e disponibilità economica possedute dai singoli componenti), risorse della famiglia (lo stile di funzionamento, ovvero il modo in cui gestisce ed integra i bisogni di unità e stabilità con quelli di crescita, autonomia e trasformazione) ed infine sociali (risorse all’interno dell’ambiente sociale, distinte a loro volta in reti informali e formali: le prime, relative alle relazioni con amici, parenti, vicini e colleghi di lavoro; le seconde, riguardanti i servizi presenti in un determinato ambiente sociale, ovvero scuole, ospedali, servizi del tempo libero).
La capacità della famiglia di cambiare e di adattarsi alle situazioni, mettendo in gioco modelli interattivi nuovi, distingue una famiglia “normale” da una “patologica”; infatti, non è l’assenza di problemi a distinguere una famiglia “normale” da una “anormale”, ma la sua capacità di affrontare ed adattarsi a situazioni nuove, che richiedono modelli alternativi di funzionamento (Malagoli Togliatti et al., 1991).
Il buon assolvimento dei compiti di sviluppo è indice del buon funzionamento della famiglia nel suo complesso, sia nei rapporti tra i membri che in quelli con l’esterno (Malagoli Togliatti et al., 2012). Se la famiglia incontra difficoltà nel processo di cambiamento e di riadattamento di fronte ai diversi eventi critici e compiti di sviluppo, il ciclo vitale può bloccarsi, oppure una specifica fase di esso può essere superata in maniera incompleta (Malagoli Togliatti et al., 2012).
Il sintomo può essere considerato come il segnale più evidente che un membro della famiglia, o meglio tutta la famiglia, presenta difficoltà a superare uno stadio del suo ciclo vitale: è l’espressione di una disfunzione momentanea all’interno di una famiglia, che non riesce ad affrontare un certo evento (Malagoli Togliatti et al., 1991); al tempo stesso, il sintomo rappresenta un tentativo di provocare un cambiamento (Malagoli Togliatti et. al., 2012).
Il sintomo è l’espressione di una difficoltà presente in un particolare momento della vita di un individuo e della sua famiglia; il sintomo collega l’individuo alla propria famiglia (Malagoli Togliatti et al., 2012).
Per cambiare la relazione tra il paziente che esprime il sintomo (paziente designato) ed il contesto familiare con il quale interagisce, devono cambiare tutti i membri della famiglia, ovvero devono riorganizzarsi le relazioni tra i membri della famiglia e l’ambiente sociale in cui vivono; in tal senso, la famiglia rappresenta una risorsa per il cambiamento (Malagoli Togliatti et al., 2012).
Un’altra caratteristica del legame familiare è data dagli aspetti di attaccamento, cura e lealtà (Malagoli Togliatti et al., 1991).
L’attaccamento rappresenta un fenomeno relazionale, che influenza le relazioni sociali durante l’intero arco della vita (l’attaccamento coniugale, oppure dei figli adulti verso i genitori anziani come cura e aiuto).
L’aspetto di lealtà del legame familiare riveste fondamentalmente la forma di impegno tra le generazioni (Malagoli Togliatti et al., 1991). Queste caratteristiche di struttura dell’organizzazione familiare sono intimamente legate a quelle di processo. Per processo si intende un cambiamento evolutivo dell’organizzazione familiare, come dinamica delle relazioni che cambiano e si riorganizzano nel corso del tempo (Malagoli Togliatti et al., 1991).
Ogni famiglia si muove lungo un asse cronologico, caratterizzato da eventi che mettono in crisi la stabilità del sistema relazionale della famiglia e che richiedono una sua nuova composizione (Malagoli Togliatti et al., 1991).
Il contesto familiare e ambientale
La famiglia è considerata come un sistema aperto, caratterizzato dalla tendenza all’omeostasi e al cambiamento (Malagoli Togliatti et al., 2012). Il concetto di omeostasi evolutiva fa riferimento ai movimenti di ristrutturazione che la famiglia mette in atto per adeguare la propria organizzazione ai cambiamenti che incontra lungo il suo sviluppo, ed allo stesso tempo, la tendenza a conservare la propria identità (Olson, 1974).
Come sistema interpersonale (Malagoli Togliatti et al., 2012), la famiglia rappresenta il contesto nel quale si realizzano i processi di sviluppo e di crescita dei suoi membri (luogo sociale).
La famiglia è un contesto che orienta in senso cognitivo le azioni dei suoi componenti (Malagoli Togliatti et al., 2012); ciò vuol dire che i comportamenti assumono significato in rapporto alla situazione e alle circostanze specifiche e che privi di contesto, i comportamenti non hanno alcun significato (contesto di significato).
Spesso, la non comprensibilità dei comportamenti di uno o più componenti è legata alla mancanza di informazioni relative al contesto interpersonale nel quale essi si verificano (Malagoli Togliatti et al., 2012).
La famiglia contribuisce a costruire un senso di identità nei suoi membri, attraverso l’esperienza dell’appartenenza e della differenziazione; il senso di appartenenza si forma attraverso la sperimentazione e l’acquisizione di modelli di relazione, che si ripetono in quella determinata famiglia ed in tal senso, il sistema familiare rappresenta anche il principale contesto di apprendimento per ogni individuo (contesto di apprendimento).
Il senso di differenziazione e di individualità si forma con la partecipazione di ciascun membro della famiglia sia ai diversi sottosistemi che ai gruppi extrafamiliari (Malagoli Togliatti et al., 2012).
La famiglia è un sistema con una propria struttura, rappresentata dall’invisibile insieme di richieste funzionali, che determina i modi in cui i componenti della famiglia interagiscono tra loro (Minuchin, 1974). Ciò significa che la ripetizione di determinate interazioni tra i vari membri della famiglia crea dei modelli di interazione e scambio, che in un certo senso stabiliscono come, quando e con chi stare in relazione (Malagoli Togliatti et al., 2012); questi modelli regolano il comportamento dei membri di una famiglia attraverso due livelli: uno più generale, che riguarda le regole condivise rispetto all’organizzazione familiare (differenza di ruoli e funzioni tra genitori e figli); l’altro, più specifico, che riguarda le aspettative reciproche dei singoli componenti della famiglia (in una particolare famiglia, può essere la madre a svolgere la funzione relativa alla gestione dell’autorità, in un’altra il padre).
Attraverso questi meccanismi, il sistema famiglia tende a mantenere una specifica identità e ad opporre resistenza al cambiamento; tuttavia, nel corso del suo ciclo vitale, la famiglia deve trasformarsi in relazione alle diverse esigenze dei propri membri e alle differenti situazioni con le quali si confronta: la flessibilità della struttura familiare è uno dei requisiti che distingue una famiglia sana da una patologico – disfunzionale (Malagoli Togliatti et al., 2012).
In ogni sistema familiare distinguiamo diversi sottosistemi, ciascuno con specifiche funzioni (funzione parentale per il sottosistema genitoriale, relazione tra i coniugi per il sottosistema coniugale); ciascun membro della famiglia può far parte di diversi sottosistemi, con gradi di potere e funzioni diverse: in pratica, un individuo, può essere contemporaneamente figlio, fratello, nipote, genitore, coniuge, ecc.; attraverso questa organizzazione, l’individuo può differenziarsi e sviluppare capacità di relazione a diversi livelli.
In ciascuna famiglia nucleare, distinguiamo tre sottosistemi principali: quello coniugale, quello genitoriale e quello dei fratelli; il sottosistema coniugale riguarda la coppia di adulti e le specifiche funzioni di scambio e sostegno emotivo, affettivo e coniugale; il sottosistema genitoriale vede impegnata la coppia sul versante dell’accudimento e dell’impegno nell’educazione dei figli: esso si modifica man mano che il figlio cresce; il sottosistema dei fratelli permette ai figli di sperimentarsi nelle relazioni tra pari e quindi in quelli che saranno i rapporti con i coetanei (Malagoli Togliatti et al., 2012).
I sottosistemi sono delimitati tra loro dai confini, cioè da regole che definiscono chi e come partecipa ad un determinato sistema; i confini svolgono quindi la funzione di differenziare i sottosistemi, rispetto a funzioni e ruoli, in quanto indicano sia la distanza – vicinanza interpersonale, che la gerarchia dei ruoli da un punto di vista generazionale (Malagoli Togliatti et al., 2012).
I confini possono essere collocati lungo un continuum: rigidi, chiari e diffusi.
Nelle famiglie funzionali i confini tra i sottosistemi sono chiari, cioè sono definiti in modo tale da permettere ai membri del sottosistema, sia di esercitare le proprie funzioni senza interferenze, sia di entrare in contatto l’uno con l’altro; le informazioni che passano tra i diversi sottosistemi sono adeguate per quantità e pertinenza, rispetto alla relazione ed alla fase del ciclo vitale (Malagoli Togliatti et al., 2012).
Nel caso di famiglie con confini rigidi, i sottosistemi sono eccessivamente separati tra loro, tanto che la comunicazione è difficile, sia come passaggio di informazioni che come scambio emotivo.
La situazione delle famiglie con confini diffusi è totalmente opposta; i confini tra i sottosistemi sono molto labili, se non inesistenti e la differenziazione tra essi scompare (Malagoli Togliatti et al., 2012).
Ogni famiglia può essere collocata lungo un continuum, che va dall’invischiamento al disimpegno; la posizione che rispecchia il modello di funzionamento “normale” è quella centrale, con confini chiari (Malagoli Togliatti et al., 2012).
E’ necessario precisare che l’invischiamento e il disimpegno non sono organizzazioni di per sé disfunzionali; infatti, in alcuni momenti del ciclo di vita, una maggiore coesione tra i membri può essere necessaria per lo sviluppo della famiglia (nascita del primo figlio), così come in altri momenti è funzionale una maggiore rigidità dei confini; la diffusione e la rigidità diventano inadeguate quando si cronicizzano e non evolvono in relazione alle diverse esigenze trasformative dei membri della famiglia (Malagoli Togliatti et al., 2012).
I miti familiari
I miti familiari sono un insieme di credenze condivise da tutti i membri della famiglia, in parte reali, in parte frutto della fantasia, che concernono i reciproci ruoli familiari e la natura delle relazioni tra i membri, favorendone l’identità e la coesione; i miti si costruiscono e si modificano nel tempo e cambiano così come evolvono le relazioni (Malagoli Togliatti et al., 2012).
Il tipo di influenza espressa dal mito familiare dipende dalla forza e dalla ricchezza di quest’ultimo, dal livello di individuazione e differenziazione, raggiunto dalla persona interessata e dalle sue capacità di elaborazione nei confronti del mito; esso nasce e si sviluppa proprio sui “vuoti” e sulla mancanza di fatti o spiegazioni attendibili su di essi; la creazione del mito risponde al bisogno di dare un senso ad alcuni avvenimenti ambigui e di cui non si riconosce una causa: ciò è molto più rassicurante rispetto all’ignoto (Malagoli Togliatti et al., 2012).
In qualsiasi relazione si creerà prima o poi un mito, che diventerà una matrice di conoscenza e che costituirà un elemento di unione ed un fattore di coesione per quanti credono nella sua verità (Malagoli Togliatti et al., 2012).
Al mito sono associate tre immagini di ruoli familiari (Byng – Hall, 1995):
1. Immagini ideali, alle quali il soggetto tenta di adeguarsi o si attende che gli altri si adeguino;
2. Immagini di ruolo disconosciute o ripudiate, alle quali il soggetto non deve conformarsi; si riconoscono grazie all’ansia indotta dalla discussione di determinati temi o all’inizio di certe interazioni;
3. Immagini di ruolo condivise, ovvero quei ruoli sull’espletamento dei quali vi è l’accordo di tutti i membri della famiglia.
Il mito familiare è paragonabile, quindi, ad una regola, ovvero è un modello di valore con funzioni prescrittive, al quale debbono attenersi tutti i membri di una famiglia, in quanto vincolati da debiti morali e legami di lealtà nei confronti del gruppo: quest’ultimo svolge un’importante funzione omeostatica, assicurando una coesione interna ed una protezione esterna; la funzione omeostatica si attiva tipicamente ogni volta che vi sia un pericolo di trasformazione, caos o rottura nelle relazioni familiari (Malagoli Togliatti et al., 2012).
Tematiche frequenti nei miti sono quelle di negazione familiare, caratteristica delle famiglie in cui qualsiasi comunicazione è ritenuta impossibile, di armonia familiare, caratteristica delle famiglie estremamente unite e in accordo perfetto e di condivisione totale delle informazioni, caratteristica delle famiglie in cui i membri si dicono tutto (Malagoli Togliatti et al., 2012).
Nel mito ognuno può trovare un significato alle proprie esperienze e sentirsi contemporaneamente parte del gruppo; i miti seguono un’organizzazione gerarchica, per cui il mito individuale è funzionale all’adempimento e alla soddisfazione del mito familiare (nel mito della realizzazione vi è la realizzazione di sé delle nuove generazioni); per questo motivo, la comprensione del significato di un mito considera almeno tre generazioni (Malagoli Togliatti et al., 2012).