La famiglia nell'età anziana
La famiglia nell’età anziana
Tra le concettualizzazioni della vecchiaia, proposte dalla nostra cultura, sono poche quelle che offrono la prospettiva di un sereno adeguamento ad essa, all’interno di un contesto familiare o sociale (Walsh, 1989). Al contrario, prevalgono atteggiamenti pessimistici: generalmente, si pensa che la maggior parte delle persone anziane non abbia famiglia, oppure che quelle che sono provviste di una famiglia, abbiano comunque scarse relazioni con essa o solitamente siano relegate in istituti o ricoveri; o ancora, che tutte le interazioni familiari con i membri anziani siano ridotte al minimo (Walsh, 1995).
Al contrario, la maggioranza delle persone al di sopra dei 65 anni non vive da sola, bensì con altri membri della famiglia e più dell’80% abita ad un’ora di distanza dal ameno uno dei figli (Walsh, 1989).
Un’altra credenza circa gli anziani è che essi siano malati, fragili e infermi e che i luoghi migliori per loro siano gli ospedali e le case di riposo (Walsh, 1989). Possiamo affermare che, se gli altri non incoraggiassero la loro dipendenza e se non li ignorassero come membri attivi della famiglia, il grado di dipendenza degli anziani sarebbe minore (Walsh, 1995).
Tra i compiti delle famiglie nell’età anziana riscontriamo l’adattamento alla condizione di pensionati; questa può suscitare un sentimento di vuoto nella persona che si ritira dal lavoro, nonché imporre una tensione specifica sulla vita matrimoniale che, fino ad allora, aveva stabilito il suo equilibrio nella distinzione degli ambiti (Walsh, 1995).
Così, gli uomini che si erano definiti completamente in base al lavoro ed agli obiettivi della carriera, esperiranno ora un momento molto difficile, sentendosi spogliati della propria identità e del proprio ruolo (Walsh, 1995).
Una crisi potrebbe insorgere in coloro che sono stati obbligati ad accettare il pensionamento per ragioni esterne alla propria volontà (Walsh, 1995).
Altre difficoltà potrebbero essere rappresentate dall’insicurezza economica e dalla dipendenza (Walsh, 1995), in modo particolare per gli anziani abituati ad essere autosufficienti (attribuendo a tale valore una connotazione positiva).
La perdita di amici e parenti costituisce una difficoltà comune in questa fase, mentre la scomparsa del coniuge rappresenta la prova di adattamento più difficile, poiché comporta, per il coniuge in vita, la riorganizzazione dell’esistenza da singolo, dopo molti anni vissuti in coppia, oltretutto in un momento in cui le relazioni che potrebbero aiutare a colmare il vuoto, stanno diventando sempre più rare (Walsh, 1995).
Il ruolo di nonni, tuttavia, può fornire una nuova opportunità nella vita, consentendo di instaurare relazioni intime con i nipotini, che possono controbilanciare quei cambiamenti inevitabili quando si affrontano le tematiche della vecchiaia e della morte (Walsh, 1995).
Le difficoltà nell’attuare i cambiamenti di status, richiesti in questa fase della vita, sono evidenti nel rifiuto dei membri anziani della famiglia a rinunciare a parte del loro potere, come quando un nonno si rifiuta di lasciare la propria impresa o di fare progetti per la successione (Walsh, 1995). L’incapacità di cambiare status è chiara, anche quando gli anziani “si lasciano andare” e diventano totalmente dipendenti dalla generazione successiva; oppure, quando quest’ultima non accetta il loro declino o li tratta come persone del tutto incompetenti o prive di importanza (Walsh, 1995).
Anche quando i membri della generazione anziana sono molto indeboliti, non si verifica mai una vera e propria inversione di ruoli tra loro e i figli, perché i genitori possono sempre contare sui lunghi anni di esperienza e restano pur sempre dei modelli per le generazioni successive, nelle loro fasi future del ciclo vitale (Walsh, 1995).
Comunque, poiché nella nostra cultura non viene attribuito alcun valore all’età anziana, i figli adulti sovente non sanno come modificare adeguatamente il loro rapporto con i genitori anziani e provano un grande disagio all’idea di doversi occupare di un genitore non autosufficiente, che prima era invece una fonte di forza e di ispirazione o di autorità e di intimidazione (Walsh, 1995).
Clinicamente è raro che siano proprio i membri anziani della famiglia a cercare aiuto da soli, anche quando soffrono di disturbi psicologici, tra i quali il più frequente è rappresentato dalla depressione; molto più probabilmente, consulteranno i medici per i disturbi fisici (Tatarelli, 1996). Più spesso, sono i membri della generazione dei figli a richiedere l’intervento dei terapeuti, anche se tendenzialmente non dichiarano in maniera aperta che i loro problemi sono collegati ad uno o ad entrambi i genitori anziani: spesso, solo attraverso un’attenta analisi della loro storia, si viene a sapere che un nonno anziano sta per essere accolto nella casa del figlio o sta per essere ricoverato in una casa di cura e che le tematiche relazionali connesse a questo cambiamento erano state totalmente trascurate in famiglia; aiutare i familiari a riconoscere i cambiamenti di status e la necessità di ristabilire un nuovo equilibrio nei loro rapporti, potrà facilitare le famiglie a procedere nel loro sviluppo (Tatarelli, 1996).
L’ultima fase della vita può essere considerata un’esclusiva delle donne: queste ultime, infatti, sono tendenzialmente più longeve degli uomini e, a differenza di questi, raramente hanno partner più giovani (Walsh, 1995).
L’allungamento della vita media ha portato a due fenomeni interessanti: la diffusione delle famiglie a più generazioni, le famiglie cioè in cui sono viventi contemporaneamente quattro generazioni: bisnonni, nonni, genitori, figli; una sproporzione tra popolazione anziana e giovane: il numero delle persone al di sopra dei 65 anni ha superato, infatti, quello delle persone al di sotto dei 15 anni (Malagoli Togliatti et al., 2012).
In questa fase della vita, l’organizzazione sociale può svolgere un ruolo fondamentale nel creare una condizione di benessere nell’anziano: i rapporti sociali aiutano l’anziano a riempire i momenti di vuoto e solitudine, benché non si sostituiscano a quelli con i familiari, ma si aggiungano ad essi, contribuendo a far sì che l’anziano mantenga un ruolo attivo all’interno del contesto sociale, anche dopo aver smesso di lavorare (Malagoli Togliatti et al., 2012).
In caso di necessità, la relazione con il coniuge, con i figli, con i nipoti o con altri familiari, rimane infatti la risorsa centrale per il benessere dell’anziano (Malagoli Togliatti et al., 2012).
Quando l’anziano si ammala o è nell’impossibilità di vivere da solo, il ruolo più difficile e gravoso spetta alle donne e ciò è vero sia per la generazione anziana sia per quella di mezzo (Malagoli Togliatti et al., 2012). La donna, infatti, mediamente vive più a lungo rispetto all’uomo, per cui si trova ad affrontare con maggiore probabilità periodi di solitudine, proprio nella fase della vita in cui si ha più bisogno dell’altro; la donna della generazione di mezzo, d’altro canto, è colei che, per tradizione, dovrà farsi carico dell’accudimento delle generazioni anziane, oltre che di quelle giovani (Malagoli Togliatti et al., 2012).
L’anziano malato spesso, da capofamiglia, può essere considerato un “peso” gravoso, di cui nessuno vuol farsi carico; può infatti capitare di assistere a liti tra fratelli per stabilire chi deve prendersi cura dei genitori anziani ed, in particolare, chi deve accoglierli nella propria casa (Malagoli Togliatti et al., 2012).
L’età anziana rappresenta una delle fasi più complesse dell’intero ciclo di vita ed i compiti che essa pone sono tra i più difficili da affrontare, sia per il singolo individuo che per la famiglia allargata; la compresenza di più generazioni pone la famiglia di fronte a molteplici eventi critici e compiti evolutivi e rende sempre più complesse le relazioni tra genitori e figli (Malagoli Togliatti et al., 2012).
In questa fase, possiamo distinguere, in base alle condizioni di salute in cui versano, tra anziani giovani e grandi anziani (Malagoli Togliatti et al., 2012).
I compiti di sviluppo: costruire nuovi ruoli e relazioni intergenerazionali negli anziani giovani
La risorsa principale per affrontare la compresenza degli eventi stressanti, che si verifica in questa fase è costituita dalla relazione di coppia; è fondamentale che i coniugi siano in grado di sostenersi reciprocamente, per far fronte ai sentimenti depressivi, che possono incombere dopo l’uscita dei figli da casa, con il pensionamento e con il decadimento fisico (Malagoli Togliatti et al., 2012). Il pensionamento, come principale evento critico di questa fase del ciclo vitale, rappresenta un momento delicato, che può portare ad un senso di vuoto e di inutilità, almeno finchè non viene elaborato a livello individuale e di coppia, riprendendo vecchie passioni ed interessi e creandosene di nuovi; se sono presenti conflitti irrisolti di lunga data e la coppia negli anni non ha saputo affrontarli, col pensionamento possono acuirsi (Malagoli Togliatti et al., 2012).
Un’area particolarmente importante in questa fase è costituita dalla sessualità: anche la terza età, infatti, dovrebbe essere caratterizzata da tre sottosistemi, quello sessuale, quello emotivo e quello sociale, in un rapporto di causalità circolare, per cui, il buon funzionamento di un aspetto, si riflette in maniera interdipendente sugli altri due (Malagoli Togliatti et al., 2012). La sessualità, in questa fase del ciclo vitale, può rappresentare un fattore unificante e gratificante per la coppia, che ora sarà molto più libera di dedicarsi a se stessa (Harrison et al, 1991).
Gli anziani come genitori devono portare avanti il processo di rinegoziazione della relazione genitore – figlio, in vista di una sempre maggiore parificazione adulto – adulto nella condivisione del comune ruolo di genitori (Malagoli Togliatti et al., 2012).
La nascita di nipoti rappresenta un evento estremamente positivo per gli anziani, in quanto implica l’assunzione di un nuovo ruolo, ovvero l’essere nonni; i nipoti, infatti, forniscono un senso di continuità e vitalità e con la loro presenza contribuiscono a colmare quei vuoti dati ad esempio dal pensionamento (Malagoli Togliatti et al., 2012).
Il rapporto con i nonni è molto positivo anche per i nipoti che possono vivere una relazione affettivamente molto forte e gratificante, soprattutto grazie al clima di tranquillità e alla minore conflittualità che è presente solitamente nel rapporto tra nonni e nipoti (Malagoli Togliatti et al., 2012).
Essere nonni, tuttavia, non è un compito semplice ed esente da rischi: uno dei più frequenti, soprattutto col primo nipote, è quello di sostituirsi al genitore; il neogenitore, infatti, è considerato inesperto e bisognoso di aiuto nell’accudimento del figlio; questo atteggiamento eccessivamente critico o protettivo verso il proprio figlio (o nuora/genero), ora genitore, ostacola il processo di differenziazione genitori – figli e l’assunzione di un ruolo adulto da parte del figlio (Camdessus, 1991).
Sarebbe auspicabile che genitori e figli stabilissero un rapporto caratterizzato dal giusto equilibrio tra vicinanza e distacco, tra autonomia e coinvolgimento emotivo – affettivo, in modo che i legami familiari fossero risorse e non vincoli (Malagoli Togliatti et al., 2012).
I compiti di sviluppo: costruire nuovi ruoli e relazioni intergenerazionali nei grandi anziani
Risulta frequente anche la condizione in cui l’anziano non goda di buona salute e sia afflitto da malattie più o meno gravi, per cui richieda cura e assistenza; la malattia contribuisce ad accentuare la consapevolezza del proprio decadimento psicofisico e gli aspetti depressivi connessi anche al sopraggiungere della morte: questo è vero soprattutto nei casi di demenza, mentre al contrario, gli anziani che sopravvivono a malattie cardiocircolatorie possono sentire di essere fortunati ad avere una seconda chance (Cesa Bianchi, 1987). Gli stati depressivi sono piuttosto frequenti, ma il rischio è quello di confondere la sintomatologia depressiva con manifestazioni di tipo demenziale, oppure di non individuare uno stato depressivo, perché mascherato da disturbi somatici (Malagoli Togliatti et al., 2012). Le forme di depressione tipiche dell’anziano si manifestano con segni di stanchezza, disturbi del sonno, preoccupazioni somatiche, paura dell’abbandono, sentimenti d’insicurezza, accompagnati da angoscia ed aggressività: la malattia, più che in passato, può rappresentare una grave ferita narcisistica, perché al giorno d’oggi prevale il mito dell’anziano attivo ed impegnato (Malagoli Togliatti et al., 2012).
Dal punto di vista della coniugalità, i grandi anziani sono chiamati a sostenersi reciprocamente, mantenendo impegni e interessi comuni, pur accettando l’inevitabile decadimento (Cesa Bianchi, 1987).
Nei casi di anziani con malattia, infatti, è l’altro coniuge, se vivo ed in buona salute, a prendersi maggiormente cura del partner malato; tuttavia, se e come sarà assolto questo compito, dipenderà molto da come si è evoluta la relazione coniugale nel tempo (Malagoli Togliatti et al., 2012).
Se vi è stata una relazione positiva, per cui i due coniugi sono riusciti a mantenere vivo il loro amore ed un buon rapporto di coppia, si avrà un senso di serenità ed armonia; se, al contrario, la relazione è stata ed è caratterizzata da rancori e conflitti, allora prendersi cura del coniuge malato può costituire un peso non sempre sostenibile: non di rado, infatti, si assiste alla comparsa di manifestazioni di disagio psichico nel coniuge “non malato”, sia durante la convivenza che in corrispondenza della ospedalizzazione del coniuge (Malagoli Togliatti et al., 2012).
Successivamente, con la perdita del coniuge, quello superstite deve riorganizzare la propria vita in modo radicale e le manifestazioni di disagio psichico possono addirittura accentuarsi (Malagoli Togliatti et al., 2012).
Nella relazione tra genitori anziani e figli adulti è importante che i primi imparino a dipendere dai propri figli e che questi ultimi imparino a prendersi cura dei genitori, senza viverlo come un obbligo, un peso o un ricatto affettivo (Camdessus, 1991). La maniera in cui i giovani si prendono cura degli anziani costituisce spesso il modello di come essi stessi saranno trattati quando invecchieranno, perché il ciclo vitale della famiglia continua ininterrottamente; questo processo è molto lungo e influenzato dalla storia relazionale passata tra genitori e figli: la cura della generazione anziana rappresenta una sorta di restituzione delle cure ricevute (Malagoli Togliatti et al., 2012).
Se la relazione tra genitori e figli non è stata gratificante e positiva, i figli potranno, in un certo senso, “rendere quello che non hanno avuto” e abbandonare i genitori (Malagoli Togliatti et al., 2012).
E’ importante fare riferimento al concetto di “lealtà”, intesa come le aspettative che legano tra loro i vari membri della famiglia; affinchè genitori e figli riescano a vivere la dipendenza come un’occasione di crescita e miglioramento delle relazioni familiari devono raggiungere un equilibrio tra assenza ed eccessiva lealtà (Malagoli Togliatti et al., 2012).
La capacità di offrire sostegno ai genitori anziani non costituisce una totale inversione di ruoli, poiché l’anziano conserva un ruolo preminente a causa della sua maggiore esperienza (Malagoli Togliatti et al., 2012).
L’evento normativo che caratterizza più specificamente la fase dell’età anziana è la morte, in quanto segna il passaggio tra le generazioni; i familiari e l’anziano stesso sono chiamati ad elaborare la necessità e l’ineluttabilità del distacco e della perdita; benché la morte rappresenti l’evento più difficile da affrontare, in questa fase essa sopraggiunge come una conclusione naturale della vita: infatti, l’elaborazione di questo evento in altre fasi della vita, risulta molto più traumatica e difficile da superare, sia per il coniuge superstite che per i figli (Malagoli Togliatti et al., 2012; Tatarelli, 1996).
Il coniuge superstite dovrà fare i conti con sentimenti di abbandono e solitudine, che possono essere anche molto intensi, in quanto viene a mancare il compagno/a di una vita; inoltre, la perdita del coniuge può acuire il timore e il pensiero della propria morte, che sembra essere sempre più imminente (Malagoli Togliatti et al., 2012).
Per la maggiore longevità, il coniuge che rimane solo è spesso la donna, che tende a continuare a vivere nella sua casa, non trasferendosi presso quella di un figlio/a, come avveniva in passato (Cesa Bianchi, 1987); se non riesce a riorganizzare una propria vita e a trovare delle motivazioni per guardare al futuro (i nipoti, ad esempio) può lasciarsi andare ad un progressivo decadimento: questi sono i casi in cui il coniuge superstite segue dopo qualche mese o anno il suo compagno; gli individui isolati e meno integrati socialmente, infatti, godono di minor salute psicofisica e sono più soggetti a manifestazioni di tipo psicopatologico e/o a malattie (Malagoli Togliatti et al., 2012).
Per i figli è importante non considerare la perdita di un genitore come una frattura netta, un distacco definitivo, ma come un’eredità da conservare e tramandare nel tempo, attraverso il ricordo: anche in questo caso, l’elaborazione della perdita e la conservazione del ricordo, dipendono in buona parte dal tipo di relazione esistente prima della morte tra genitori e figli (Malagoli Togliatti et al., 2012).html/body/p[3]
Compiti di sviluppo coniugali:
-Impegnarsi nella coppia
-Far fronte alla malattia propria e/o del coniuge
-Accettare la morte del coniuge e prepararsi alla propria
-Mantenere vivi gli interessi anche fuori dalla famiglia
Compiti di sviluppo genitoriali:
-Aprire i propri confini a nuore/generi
-Fare spazio e riconoscere ai figli il ruolo genitoriale
-Essere presenti nella vita dei nipoti
-Accettare la progressiva parificazione dei ruoli superando la barriera gerarchica intergenerazionale
Compiti di sviluppo come figli:
-Sostenere e curare la generazione precedente (se ancora viva)
-Coltivare l’eredità e il ricordo della generazione precedente
-Condividere l’esperienza della morte dei genitori
Coltivare e investire nelle relazioni sociali
Utilizzare come risorsa i servizi territoriali
Conclusioni
I soggetti anziani sono anzitutto portatori di un pregiudizio, che pesa come una limitazione, alla quale corrispondono vissuti diversi, quali, l’autocompatimento, la rassegnazione, la sfiducia, il bisogno di rivalsa; tale pregiudizio, vissuto come assioma, è “siamo anziani”, il cui corollario è “cosa pensano di noi gli altri?”.
Col passare degli anni, si accompagna la perdita del senso delle distanze e perciò delle differenze, a favore di un appiattimento dei ricordi: spesso infatti, gli anziani hanno l’abitudine di rinvangare episodi lontanissimi, come fossero appena conclusi; inoltre, il ruolo che hanno avuto le fasi iniziali del rapporto di coppia, contrassegna quelle successive, in quanto un “prima” è sempre rintracciabile, mentre, il “qui e ora” appare difficile da gestire e addirittura, da circoscrivere (Malagoli Togliatti et al., 1991).
Solitamente, gli anziani hanno scarsa fiducia di poter cambiare, ma in misura maggiore nutrono una limitata fiducia nel fatto che il proprio partner cambi (Malagoli Togliatti et al., 1991).
Questa posizione è condivisa anche dalle coppie giovani, con la differenza che, in quelle anziane, aumenta il grado di intensità delle esperienze vissute, avendo un notevole periodo di anni alle spalle; perciò, il tempo trascorso può divenire un peso e le paure ingigantite (Malagoli Togliatti et al., 1991).
Quando una coppia riesce ad accettare che i figli se ne vadano di casa, spesso passa un periodo di relativa tranquillità, che può continuare fino al pensionamento del marito; qualche volta, però, il pensionamento può complicare la situazione, dal momento che obbliga i coniugi a restare insieme per tutto il giorno e non è raro che la moglie presenti dei sintomi invalidanti, in corrispondenza col pensionamento del marito (Haley, 1973).
Anche sei i disturbi emotivi delle persone anziane possono avere cause diverse, l’eventualità più frequente è che abbiano una funzione protettiva nei confronti di altre persone: il valore funzionale del sintomo, che si può constatare in tutti i periodi della vita familiare, riveste un’importanza fondamentale anche all’interno della relazione di coppia, nelle ultime fasi del ciclo vitale (Haley, 1973).
Ad un certo punto, uno dei due coniugi muore, lasciando solo l’altro, che deve cercare di rientrare a far parte della famiglia: qualche volta, l’anziano può essere messo nella condizione di ricoprire un ruolo utile, altre volte, invece, viene sentito come un peso inutile, dal momento che i tempi cambiano e i vecchi vengono considerati inefficienti dalle generazioni più giovani (Haley, 1973). In questo periodo, la famiglia deve affrontare il problema di prendersi cura dell’anziano o di ricoverarlo in un istituto, dove altri si prenderanno cura di lui: anche questo è un momento di crisi, spesso difficilmente superabile, ma la maniera in cui i giovani si prendono cura degli anziani, rappresenta il modello di come essi stessi saranno trattati quando invecchieranno, perché il ciclo vitale della famiglia continua ininterrottamente (Haley, 1973).