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Il Bullismo

psicologia, psicoterapia, psichiatria, attacchi di panico, fobie, disturbi umore

Premessa

Viene trattato secondo la logica della complessità e attinge a cause sia macrosociali che individuali (sei giudicato non per quello che sei ma per il successo ottenuto, padri assenti, femminilizzati, o in cui prevale una sola delle due polarità e che non celebrano più i riti di passaggio, differenza tra codice materno e paterno).

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Differenza tra Rabbia / Aggressività / Violenza

A livello sociale e culturale si coltiva l’illusione che la rabbia sia cattiva e vada repressa, senza considerare che le modalità repressive la trasformano in aggressività.

Il tema della rabbia è centrale per la nostra esistenza. La rabbia è fatta della nostra storia, dei nostri pensieri, delle nostre emozioni. Comunica cose come l’angoscia, il dolore, l’impotenza, la paura dell’abbandono, il non sentirsi vivi perché svalutati, non capiti o non ascoltati. Può comunicare la perdita dell’idea di sé quando siamo in una fase di cambiamento, per cui non ritroviamo più chi eravamo e non sappiamo ancora chi siamo. Che è tipico dell’adolescenza. La rabbia è un importante tentativo di comunicazione: vuol dire che c’è qualcosa che ci ha fatto o ci fa male. A volte è proprio l’ultima strada che ci resta da percorrere, quando tutte le altre ci sembrano bloccate o inutili. È un vero e proprio segnale di allarme. Eppure da un sentimento così importante un po’ tutti cerchiamo di prendere le distanze. Sembra essere una delle manifestazioni che ci spaventa di più, in noi e negli altri. Facciamo di tutto per scacciarla, comprimerla, come se fosse una cosa solo negativa e distruttiva di cui avere paura. Dimenticandoci che come tutte le cose di questo mondo ha un inizio, un’evoluzione e una fine. Il fatto è che la rabbia spesso esce con modalità distruttive, che si ritorcono contro di noi e contro chi ci sta vicino, complicandoci la vita. È pur vero che esistono delle rabbie totalizzanti, che esplodono senza controllo e senza freni inibitori e sono in genere il sintomo di una grave sofferenza sul piano mentale. La rabbia è una potenza della natura. Testimonia una grande vitalità. Soffocarla significa soffocare una grande vitalità, perché l’operazione del soffocare consuma di per sé molta energia. Come tenere a bada una macchina che sbanda. E allora che fare, ad esempio, di fronte alla rabbia di qualcuno se ci interessa davvero la relazione con lui? Stare zitti e fermi ad ascoltare. Senza scappare. Non è un’impresa facile, perché vuol dire entrare in contatto con dolore, angoscia e altri sentimenti che fanno risuonare il nostro dolore, la nostra angoscia. Se però riusciamo a non scappare o reagire con rabbia, perpetuando un circolo vizioso, possiamo scoprire una diversa possibilità di comunicazione. Se proviamo ad ascoltare la nostra rabbia, quella dei nostri figli o dei nostri alunni, ci accorgiamo che non sono tutte uguali. Dare un senso alla rabbia può essere un tentativo per recuperare le emozioni che ci stanno dietro, anche quando sono faticose da tollerare. E dunque recuperare un pezzetto della nostra storia. Nessuno ha il diritto di portarci via la nostra rabbia. Il tentativo di negarla, non riconoscendole il diritto di esistere, oppure mortificandola, procura sempre una grandissima mutilazione. Cosa fa tanto arrabbiare un adolescente? Non sentirsi capito, pensare di subire un’ingiustizia, non essere considerato, ascoltato, essere preso in giro, non essere ritenuto degno di fiducia, ricevere consigli scontati, essere incolpati giustamente ecc.. Se l’adulto si pone nei suoi confronti da “testimone soccorrevole”, può aiutare la sofferenza espressa da una rabbia comprensibile a evolvere in modo costruttivo e non distruttivo. Impedendo alla rabbia di diventare aggressività, piacere di far soffrire l’altro. Cosa che capita quando non riusciamo a integrarla dentro di noi.

Aggressività e rabbia sono due fenomeni ben distinti. La rabbia non è innata, ma è un’emozione che si manifesta nei primi anni di vita del bambino insieme ad altre emozioni. L’aggressività è generata dalla rabbia e permette di alleviare situazioni di disagio emotivo. L’aggressività serve al bambino per affermare la propria identità, superando la dipendenza infantile. Se il bambino ha uno sviluppo sociale adeguato sostituirà alla forza fisica comportamenti sociali più evoluti. Un errore che spesso commettono gli adulti è quello di interpretare la rabbia del bambino come una sfida. Al contrario è da considerarsi una forza positiva che va però incanalata. Compito dell’adulto è aiutare il bambino a riconoscere le cause che l’hanno provocata, e tradurle in parole anziché in agiti. Così il bambino acquisisce strumenti per fronteggiare l’impulsività. Ognuno di noi è la risultante di fattori ereditari, ambientali ed educativi. Dunque siamo più o meno irritabili, instabili, impulsivi. Se nel bambino l’aggressività è l’incapacità di mettere in parole ciò che lo ha fatto arrabbiare, nell’adolescente rimanda alla difficoltà di essere visto, riconosciuto e apprezzato Esiste una correlazione tra violenza e assenza di figura paterna. I riti di passaggio vengono celebrati dal gruppo dei pari, senza la presenza dell’adulto che ne preserva il significato. Spesso a un padre onesto ma debole e di scarso successo si preferisce una figura maschile violenta, un capobanda ad esempio. Spesso i comportamenti adolescenziali violenti hanno a che vedere con la noia e il non sentirsi vivi (vedi Galimberti). L’aggressività si distingue in proattiva e reattiva a seconda che si manifesti senza provocazione o sia la conseguenza di una provocazione. Il bullismo viene classificato tra le aggressioni di tipo proattivo. Lorenz considera l’aggressività un istinto innato, che serve alla conservazione della specie. Bandura invece ritiene che l’aggressione non è un comportamento istintivo, ma la conseguenza dell’apprendimento sociale. In tal modo i bambini aggressivi sono bambini con deficit di abilità sociali. Cioè non riescono a prevedere le conseguenze delle loro azioni e commettono errori nell’interpretazione dei segnali sociali. La famiglia in quest’ottica ha un ruolo chiave, perché può rinforzare i comportamenti aggressivi del bambino. La violenza, a sua volta, è espressione dell’aggressività. E spazia dalla guerra al terrorismo, dal genocidio al razzismo, dal teppismo al bullismo. Se una società si pone come obiettivo il conseguimento del successo economico, tutti gli sforzi vengono orientati in tal senso. Così il raggiungimento delle mete giustifica qualsiasi tipo di comportamento, sia esso lecito che illecito. Una società di questo tipo è permeata dal culto della forza e considera regole e norme come un ostacolo all’affermazione di sé. Se a questo aggiungiamo che nella società attuale si viene giudicati non per quello che si è ma per il prestigio raggiunto, i bambini fin da piccoli apprendono la cultura della conquista, basata sulla prevaricazione degli altri attraverso l’uso della violenza e la violazione sistematica delle regole. L’altro viene visto o come una minaccia alla propria affermazione o come strumento per il raggiungimento del profitto individuale.

Il compito di una società è sempre stato quello di trasmettere ai giovani valori e modelli educativi. Un tempo la continuità tra le generazioni era garantita dalla trasmissione rigidamente organizzata dei valori tradizionali, per giusti o sbagliati che fossero. Per cui era più facile per un giovane costruirsi un’identità sociale. Oggi fare i genitori è diventato molto più difficile, perché trasmettere i valori nei quali ha creduto la famiglia tradizionale, rischia di collocarli fuori dal tempo. Ma è altrettanto difficile diventare adulti in assenza di un sistema di regole esplicitamente definito per la costruzione della propria identità sociale. Se l’ometto e la signorina compresi e compressi nella parte di finti adulti, addestrati a dire sempre: grazie, prego, buongiorno e buonasera non suscitano alcuna nostalgia, colpisce però l’ostinazione dei ragazzini che si ostinano a dare del tu e a chiamare per nome dei perfetti sconosciuti. Mostrando una totale mancanza di interiorizzazione di ruoli personali e generazionali. Il passaggio dalla famiglia normativa a quella affettiva ha generato figli sempre più incapaci di reggere la frustrazione e il dolore mentale in caso di rovesci. Si è sbiadita sempre più la figura paterna, il cui compito è quello di introdurre le regole e il senso del limite per favorire il passaggio dalla dimensione familiare a quella sociale. I padri per lo più sono assenti e delegano alla madre o quando sono presenti attuano un accadimento di tipo materno. Hanno disimparato a dire no, perché sono loro ad aver bisogno dell’approvazione dei figli. L’accudimento primario assoluto, cioè sia paterno che materno, favorisce la tendenza a sottrarsi alla dimensione sociale per rifugiarsi nel proprio angolo privato. Così sempre più diffusamente si demanda il ruolo educativo alle istituzioni.

Il bullismo può essere considerato una nuova forma di devianza aggressiva molto diffusa tra gli adolescenti, che si manifesta nelle scuole o nei tragitti scuola-casa. Esprime una situazione di disagio che investe le famiglie di tutte le fasce sociali.

Il pioniere degli studi sul bullismo è stato il norvegese Olweus negli anni ’80, in seguito al suicidio di due bambini non più in grado di sopportare le continue offese inferte loro da alcuni compagni. Rimane paradigmatica la sua definizione di bullismo: uno studente è oggetto di atti di bullismo quando viene esposto ripetutamente nel tempo alle azioni offensive messe in atto da uno o più compagni. Perché si possa parlare di bullismo occorre che ci si riferisca ad una violenza fisica, verbale, psicologica cioè indiretta, protratta nel tempo, in cui vi è squilibrio tra prevaricatore e vittima. Le tre caratteristiche del bullismo sono:

 

  • l’intenzionalità, cioè il bullo pone in atto intenzionalmente comportamenti finalizzati a umiliare, mortificare, offendere, recare danno o disagio all’altro,

  • la persistenza, cioè la prevaricazione è protratta nel tempo,

  • l’asimmetria, cioè c’è squilibrio di forza tra colui che prevarica e colui che subisce. La vittima in genere è debole e indifesa.

 

Il bullismo può essere indiretto, cioè consiste nell’isolamento sociale o dall’esclusione intenzionale della vittima dal gruppo dei pari, attraverso calunnie, pettegolezzi, maldicenze, invio di bigliettini offensivi e minacciosi. Questo è tipicamente femminile ed essendo molto sottile e invisibile, difficilmente viene individuato e punito. Diretto cioè fatto di aggressioni fisiche, parole, smorfie, gesti offensivi. Diretto verbale che consiste nell’insultare, prendere in giro ripetutamente, deridere, che è indifferentemente sia maschile che femminile. Diretto fisico commesso colpendo con pugni, calci, rovinando gli effetti personali di qualcuno, appropriandosi di oggetti altrui, che è tipicamente maschile. I maschi se la prendono sia coi maschi che con le femmine, mentre le femmine solo con le femmine.

Il bullismo può essere attuato da un singolo individuo o da un gruppo. Questa tipologia è sicuramente femminile. Ma non solo. Prevaricare in gruppo comporta dei vantaggi, perché permette di delegittimare le proprie responsabilità, diminuendo la gravità del proprio gesto, con l’appoggio dei compagni. Ogni gruppo ha un leader che stabilisce scrupolosamente ruoli e compiti dei singoli, che possono variare nel tempo, occupando tutto il ventaglio che va da vittima a bullo. Anche la vittima può essere un singolo individuo o un gruppo. In genere le figure che intervengono nella prevaricazione sono studenti del gruppo classe con ruoli diversi.

 

  • Il bullo che pone in atto concretamente la prevaricazione.

  • La spalla che dà supporto concreto pur non avendo un ruolo primario.

  • Il gregario che sorregge il bullo attraverso segnali di condivisione, approvazione.

  • La vittima l’oggetto di prepotenza.

  • Il difensore della vittima che attivamente tutela la vittima per porre fine alla prevaricazione. È un ruolo prevalentemente femminile.

  • Lo spettatore che assiste alla prevaricazione senza prendere posizione né verso il bullo né verso la vittima. È un ruolo prevalentemente femminile.

 

Analizziamo in dettaglio queste figure. Il bullo può essere aggressivo, quando è aitante, si mostra spavaldo, sicuro di sé, riscuote successo, è insensibile ai sentimenti altrui, manipola adolescenti e adulti per modificare le relazioni a proprio vantaggio, interpreta negativamente gli stimoli sociali ambigui, difficilmente si riconosce pienamente responsabile delle conseguenze delle proprie azioni e dunque fatica a comprendere le punizioni che riceve; passivo, quando non prevarica in prima persona ma si aggrega al gruppo per non esserne vittima; temporaneo, quando la sua aggressività è reattiva ad un evento traumatico subito, che può spaziare dall’insuccesso scolastico, alla mancata accettazione da parte del gruppo classe, a gravi vicende familiari; ansioso quando fa il bullo per attirare su di sé l’attenzione ma non ne ha la tempra. Non riscuote la popolarità dei compagni, teme le sanzioni, va male a scuola. Ci sono almeno due tipologie di vittima: passiva e ansiosa. La vittima passiva può essere scelta in base a delle caratteristiche esteriori quali il colore della pelle, dei capelli, il fatto di portare gli occhiali, l’obesità, la scarsa prestanza fisica, la sensibilità e il rifiuto della violenza ritenute tra i maschi segni di debolezza, andare bene a scuola che è vissuto come un tradimento dai compagni che non hanno voglia di studiare, la facilità al pianto, l’incapacità di difendersi e come tale è ritenuta meritevole di punizione. Altre caratteristiche della vittima passiva sono la scarsa assertività, cioè l’incapacità di affermare con decisione i propri bisogni e desideri, la timidezza, l’ansietà, l’insicurezza, la scarsa autostima, la fatica a gestire i conflitti, la scarsa fiducia in sé, la forte dipendenza dalla famiglia, l’isolamento poiché considera il mondo come un luogo pieno di insidie cui ritiene di non saper far fronte. Non avendo amici, nessuno è disposto ad aiutarla. Se aggredita, la sua reazione consiste nella chiusura in se stessa e nel pianto. È impotente, perché bloccata dalla paura sia di scappare che di riferirlo agli adulti. Viene scelta come bersaglio di soprusi certamente non perché provochi verbalmente e tanto meno fisicamente, ma perché i provocatori godono nel veder piangere i più deboli. Poi c’è la vittima provocatrice, che volendo essere sempre al centro dell’attenzione infastidisce il bullo istigandolo. Così come reagisce agli attacchi del bullo contrattaccandolo in modo inefficace con urla, offese. Si può considerare una sorta di bullo-vittima. La percezione delle vittime è estremamente diversificata: ci sono vittime che si qualificano come tali e tali vengono considerate dai compagni; quelle che non si considerano vittime ma i compagni le vedono come tali e reagiscono negando, facendo finta di nulla, come se la cosa non li riguardasse; quelle che si considerano vittime, ma i compagni non le vedono come tali. Un ruolo significativo è quello dello spettatore, che scegliendo di astenersi facendo finta di niente, scoraggia la vittima a chiedere aiuto. Può successivamente decidere di prendere posizione. Da che parte stare dipende da quanto è forte il desiderio di far parte del gruppo. Talvolta il desiderio di farsi accettare, nel timore di rimanere isolati, conduce a conformarsi ai valori negativi del gruppo anche se non si condividono. Dipende da quanto è forte la paura di subire ritorsioni o da quanto è grande l’indifferenza davanti ai fenomeni di bullismo che vengono considerati assolutamente normali. Questo contraddice il luogo comune secondo cui sono i compagni a spingere verso i comportamenti devianti, mentre gli studi sembrano confermare che sono frutto di una scelta. Anche il gregario riveste un ruolo importante, perché condividendo e approvando il comportamento del bullo, funge da rinforzo positivo, aumentandone l’autostima. È il gruppo che conferisce al bullo lo status di leader.

Gli adulti hanno spazio di intervento?

Anche se il bullismo non è un crimine, non va sottovalutato perché nel tempo può trasformarsi in reato contro la persona. L’obiettivo è contenere il fenomeno o meglio ancora prevenirlo. Quando si manifesta, la situazione è già sfuggita di mano e non si può che correre ai ripari. La prevenzione invece si può attuare nel quotidiano e richiede impegno costante e molta coerenza da parte degli adulti. Anche perché, in campo educativo, la logica d’emergenza induce spesso a compiere scelte tanto affrettate quanto estreme, che finiscono per esasperare i fenomeni anziché risolverli. Con il passare degli anni, non solo il bullismo è aumentato vistosamente, ma si è anche abbassata sia l’età del bullo che della vittima. A qualsiasi età venga posto in atto, non deve essere considerato una marachella ingenua di bambini, perché i suoi effetti sono dannosi e pericolosi per tutti quelli che ne sono coinvolti. Tragicamente tra gli adolescenti si assiste anche ad un cambiamento di tipologia delle aggressioni fisiche: da calci e pugni all’uso di fiammiferi e coltelli o alle molestie sessuali. Il bullismo può essere fermato solo con la collaborazione di tutti: bullo, vittima, gruppo classe, insegnanti, preside, genitori, bidelli. Inoltre va tenuto conto che, il bullo e la vittima sia pure con ruoli opposti manifestano entrambi una situazione di disagio meritevole di attenzione. Entrambi non sono stati in grado di sviluppare le capacità relazionali: empatia, solidarietà, responsabilità

È indispensabile una grande sinergia da parte di tutte le agenzie educative che si occupano di giovani e bambini: la famiglia, la scuola, l’oratorio, il gruppo sportivo ecc., anche se la famiglia dovrebbe avere un ruolo di primo piano nel fornire affetto, regole, principi, gratifiche, sanzioni. Ma quando la famiglia per mille ragioni è assente, il ruolo delle altre agenzie educative diventa fondamentale. Rappresentano gli unici interlocutori. Una cosa che gli adulti devono tenere a mente è che il bullismo nasce dallo scherzo e quindi una delle cose più utili che possono fare è scherzare di più coi ragazzi e vedere come scherzano tra loro. Uno dei bisogni del gruppo è ridere, divertirsi, perché fa star bene. Lo scherzo presuppone che qualcuno venga preso in giro. Però è un “rido con te” e non “rido di te”. Non c’è umiliazione e prepotenza. Invece il rido “di te” non presuppone compassione, empatia che vanno insegnate e coltivate Gli adulti devono anche insegnare ai ragazzi a rispettare quei compagni che non amano gli scherzi e che, proprio per questo, destano l’attenzione dei bulli. Lo scherzo dunque va monitorato. Il bullismo obbliga gli adulti a prendere posizione. Obbliga gli insegnanti a educare i propri allievi alla democrazia, che come diceva Bobbio è un processo. Il luogo elettivo diviene la classe, in cui tutti gli allievi sono uguali, in cui esistono regole da rispettare, in cui esistono diritti e non privilegi. La differenza è che i diritti presuppongono dei doveri, i privilegi no. Quando nasciamo abbiamo solo diritti, ma col tempo, aumentando la capacità di comprensione, compaiono anche i doveri. Un errore che gli insegnanti non devono commettere è quello di concentrarsi solo sul bullo, perdendo di vista la dimensione del gruppo, che si attiva e lo legittima.

 

Il bullo sembra insensibile o peggio sembra godere delle sofferenze che infligge alla vittima. Compassione, empatia non esistono nel suo vocabolario emotivo. Anzi, forse non esiste neppure un vocabolario emotivo. La dimestichezza con le emozioni si costruisce nel tempo, a patto che chi si prende cura di noi abbia dimestichezza con le emozioni. Per questo durante la prima infanzia i genitori dovrebbero promuovere un’educazione non solo fisica ed intellettuale, ma anche emotiva. Se il bambino non riceve questi nutrimenti si arrangia con gli strumenti che non ha. Cuore e ragione devono viaggiare insieme. La ragione senza sentimento è arida, così come la passione non governata da una mente è travolgente. Ma a dispetto di un pregiudizio molto diffuso, il sentimento è forza e non languore. Per mancanza di educazione emotiva in alcuni giovani non si è strutturata la sequenza: cuore-pensiero-comportamento. Se non sanno mettere in comunicazione il cuore con la mente( prima ancora di capire sento cosa è giusto e cosa no), non possono mettere in comunicazione la mente con il comportamento (quali miei comportamenti danneggiano gli altri e quali no) e meno che mai il comportamento con la risonanza emotiva (quali emozioni provo in seguito ai miei comportamenti).

Altra cosa che sfugge agli adulti negli ultimi tempi è che le relazioni adulto giovane, come genitore-figlio, educatore-allievo, insegnante alunno, sono relazioni strutturalmente asimmetriche, con ruoli non intercambiabili e connotati da attributi predefiniti. Autorità, capacità, responsabilità, competenza connotano il ruolo dell’adulto. Incapacità, bisogno, dipendenza connotano il ruolo del giovane. Il ruolo parentale e in senso lato quello dell’adulto è detto ruolo d’autorità, perché fisiologicamente chi lo ricopre è deputato ad una funzione aumentativa nei riguardi di chi è dipendente da esso. Etimologicamente autorità deriva da augere che significa aumentare.

 

Se gli adulti si pongono il problema di prevenire il passaggio dalla trasgressività adolescenziale alla delinquenza minorile, devono avere ben presente che il comportamento trasgressivo è una forma di comunicazione, alla quale devono fornire una risposta. Con un giusto mix di affetti e norme. Le sole punizioni rischiano di innescare un circolo vizioso. Va invece mantenuta una profonda empatia con il trasgressore. Il vero deterrente alla trasgressione è la comprensione empatica. Questa attitudine dell’adulto favorisce la possibilità che gli adolescenti la interiorizzino, diventando a loro volta capaci di comprendere se stessi e i loro bisogni, pensandoli invece di agire impulsivamente. Spesso le azioni che commettono sono opache ai loro occhi. Vanno aiutati a coglierne il senso profondo e a comprendere che se le loro esigenze sono legittime, non lo sono invece le modalità che mettono in atto per soddisfarle. Allora il dilemma sembra essere: si deve punire o perdonare? Siccome una regola senza sanzione perde di efficacia, occorre punire le trasgressioni più gravi e perdonare quelle più lievi. Tenendo conto che perdonare non significa ignorare il comportamento trasgressivo. Andrebbero evitate situazioni del tipo: “Se confessi tutto ti perdono”, perché così finisce che si accettano comportamenti inaccettabili, purché vengano confessati. Così come non si deve pensare che il timore di incorrere in una sanzione sia sempre un efficace deterrente. Non lo è quando il comportamento trasgressivo veicola significati affettivi: ricerca di una punizione per alleviare il senso di colpa, per attirare l’attenzione su di sé. Ma soprattutto quando l’autorità è destituita di autorevolezza, per cui le minacce, l’innalzamento del livello dello scontro vengono percepiti come chiari segnali di impotenza.

 

Cosa possono fare gli insegnanti?

La scuola ha un regolamento scritto che spesso resta sullo sfondo, mentre la regolazione dei comportamenti è demandata alla consuetudine. Al regolamento si ricorre come estrema ratio, quando il conflitto tra le parti si fa particolarmente acceso. Un tempo il regolamento scolastico serviva a garantire il rispetto dell’autorità: l’offesa all’autorità dei docenti era considerata la trasgressione più grave. Oggi il nuovo statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria superiore, proposto dal MPI si basa sul principio della pari dignità di insegnanti e studenti e coniuga diritti e doveri di tutti gli attori che calcano la scena scolastica. Viene sottolineata la reciprocità umana, pur nella asimmetria dei ruoli. In questa nuova ottica i provvedimenti disciplinari, che hanno sempre finalità educativa, non hanno lo scopo di salvaguardare la comunità a scapito del singolo, bensì di rinforzare il senso di responsabilità e di ripristinare rapporti corretti all’interno della comunità scolastica . Quando la violazione delle regole è grave e sistematica, non intervenire con sanzioni disciplinari viene interpretato come un segnale di debolezza istituzionale. In genere quando l’istituzione funziona, gli atti di bullismo non riescono a contagiare, perché un adeguato contenimento relazionale e normativo ne disinnesca il potenziale esplosivo. A volte però non basta. Quindi quello che possono fare gli insegnanti è ricoprire bene il proprio ruolo, fare bene il proprio 50%, mettendo anche in conto che talvolta questo non basta, perché la buona riuscita di un intervento educativo non dipende elusivamente da loro.

 

  • La scuola in cui si verificano fenomeni di bullismo deve dichiarare a chiare lettere che intende contrastare il bullismo e divulgare il più possibile questo suo proposito. Va scritto nel PEI

  • Coerenza tra le richieste fatte ai ragazzi e il proprio comportamento

  • Definire chiaramente regole e limiti da rispettare sia per quanto riguarda gli insegnanti che per quanto riguarda gli studenti

  • Non usare le valutazioni del profitto per gestire i problemi di comportamento

  • Quando si verificano episodi di bullismo, l’insegnante è chiamato ad essere arbitro della situazione, cercando di far luce sulla dinamica dei fatti, ascoltando la versione del prevaricatore, della vittima e se possibile dei testimoni

  • Non limitarsi alle punizioni, che va ricordato che hanno sempre una finalità educativa. Evitare le punizioni plateali che mettono alla berlina l’autore del gesto, oppure le punizioni di gruppo per punire le trasgressioni individuali. Invece cercare un dialogo con bullo, vittima, informandone le famiglie e il preside. Il bullismo deve essere ostacolato congiuntamente da insegnanti e genitori. Lo si può affrontare solo infrangendo il muro del silenzio. Le diatribe tra scuola e famiglia che si palleggiano le colpe, dividono e non aiutano a fare il bene dei ragazzi. La cooperazione tra scuola e famiglie è un’arma vincente. È molto confondente per i ragazzi ricevere messaggi educativi contraddittori

  • Consentire il conflitto, impedendo che si trasformi in aggressione

  • Reprimere la rabbia non serve, anzi produce un’escalation di aggressività. Serve invece aiutare il potenziale prevaricatore a tradurre in parole la propria rabbia, a darle voce prima che sfoci in agito

  • Non rifiutarsi di prendere posizione, dicendo che fare il poliziotto non rientra tra i suoi compiti

  • Lasciare sempre aperto il canale della comunicazione, perché a chiuderlo ci pensano già i ragazzi

  • Avere uno stile educativo autorevole, cioè né autoritario (umiliazioni verbali davanti a tutti, insulti, urla, compiti di punizione) né permissivo

  • Abituare gli alunni al dialogo, al confronto, nel rispetto dei diversi punti di vista, aiutandoli a mettersi nei panni degli altri

  • Educare ai comportamenti prosociali

  • Sottolineare il fatto che nella scuola c’è posto per tutti a patto che si rispettino le regole della convivenza civile

  • Educare alla cooperazione vs la competizione interpersonale, all’etica vs furbizia, comunicazione vs intolleranza

  • Assumere il ruolo di mediatori, cioè di persone terze, neutrali, che ascoltano le ragioni di entrambe le parti, favorendo l’esternazione di rabbia, paura, bisogni, secondo una modalità alternativa all’aggressione

Il Contesto a scuola

Raramente avvengono episodi di bullismo en plein air, perché gli adulti se ne accorgerebbero. Il bullo si nasconde e opera nell’ombra, perché sa che il suo comportamento è riprovevole e non può essere manifestato in presenza di adulti. Però cerca una platea nel gruppo dei pari per essere visto, ammirato, per esorcizzare la paura di essere un perdente.

La scuola e in particolar modo la classe è il luogo privilegiato in cui si manifesta il bullismo. Quindi tra compagni di classe. Perché la classe è il luogo in cui i giovani trascorrono la maggior parte del tempo. E stare molte ore uno accanto all’altro permette di conoscersi meglio e di evidenziare punti di forza e di debolezza degli altri oltre che propri. Non esiste alcuna correlazione certa tra bullismo e scuole molto grandi o classi molto numerose, che pure richiedono un maggiore impegno da parte degli insegnanti. Invece la struttura scolastica gioca un ruolo importante. Ci sono molti edifici scolastici fatiscenti con corridoi lunghi e stretti e bagni posti in zone isolate, fuori dalla portata di insegnanti e bidelli e dunque elettivi per il verificarsi di episodi di bullismo. Così come a rischio sono le aule riservate a determinate attività, che non vengono usate frequentemente. La stessa ubicazione delle classi deve avvenire secondo certi criteri: mettere vicino alunni di età differente può favorire la prevaricazione dei più piccoli. Gli adulti devono avere mille occhi, perché con una blanda sorveglianza gli studenti riescono ad attuare comportamenti bullistici quasi indisturbati. Azioni che magari cominciano fuori dalla scuola e possono continuare tranquillamente al suo interno. D’altra parte, difficilmente i bulli e le vittime rivelano a genitori o insegnanti di avere a che fare con questo tipo di episodi. Gli uni perché temono le sanzioni, gli altri perché temono di essere considerati degli incapaci, persone che non sanno farsi valere.

Oltre ad accorgimenti di tipo ambientale, incidono pesantemente il clima scolastico e lo stile educativo adottato dagli insegnanti. La scuola elementare sembra essere il luogo in cui il bullismo si manifesta maggiormente. A questa età i bambini cominciano a formare gerarchie, si scontrano per dominare, inoltre imparano a non farsi scoprire dagli adulti per non incorrere in punizioni. Spesso coloro che occupano il ruolo di vittima durante le elementari difficilmente se ne liberano con il passare del tempo. Nel passaggio dalle elementari alle medie il fenomeno tende a diminuire, sia perché migliorano le abilità socio-cognitive che servono per relazionarsi con gli altri, sia perché i “grandi” delle elementari diventano i “piccoli” delle medie. Nelle superiori dovrebbe ulteriormente diminuire rispetto alla scuola dell’obbligo e cambia tipologia. Diminuiscono le aggressioni fisiche per lasciare il posto a violenze sessuali e a prepotenze psicologiche, quali esclusione dal gruppo, l’isolamento sociale.

Cause

Nelle “Lettere Luterane” Pasolini scriveva: “… sanno raffinatamente come far soffrire i loro coetanei, meglio degli adulti. La loro volontà di far soffrire è gratuita …” (1976). Pasolini sosteneva che il bullismo inteso come eccesso di esuberanza giovanile c’è sempre stato. Oggi però ha passato paurosamente il segno, generando nei genitori angoscia e negli insegnanti sconforto. Essendo il bullismo un fenomeno multidimensionale, le cause sono molteplici. E in particolare quelle di questo specifico momento storico sono:

 

  • Mancata integrazione con il gruppo dei pari. Avere amici favorisce lo sviluppo delle capacità sociali.

  • Crisi della società contemporanea: da futuro-promessa a futuro-minaccia. La psiche è sana quando è aperta al futuro. Se non c’è futuro implode. Le speranze, le iniziative si affievoliscono, lasciando il posto alla noia, alla demotivazione, all’apatia. Meglio abbuffarsi di presente e gratificarsi oggi, se il domani è senza prospettive. La filosofia dello sballo molto in voga tra i giovani sembra sottendere il fantasma della noia e della tristezza, del vuoto affettivo e relazionale, che viene colmato attraverso comportamenti e/o sostanze eccitanti.

  • L’afasia emotiva, frutto di una mancata crescita emotiva, spinge i giovani al gesto, soprattutto quello violento. Che prende il posto di tutte le parole non scambiate con se stessi e con gli altri. Un tempo la follia esplodeva per eccesso di passione, oggi è frutto di una razionalità lucida e fredda, non temperata dal cuore.

  • Fino agli anni 60 la depressione nasceva dal conflitto nevrotico tra norma e trasgressione. Il senso di colpa nasceva per aver trasgredito la norma. Dal 68 in poi, essendosi di molto affievolito il concetto di norma, tutto diventa possibile, esponendoci alla contrapposizione ben più lacerante tra possibile e impossibile. Spazio in cui è sempre molto sfocato il limite tra ciò che è lecito e ciò che non lo è. Esuberanza vs aggressione, seduzione vs abuso sessuale, insubordinazione vs misconoscimento di ogni gerarchia. Spazio in cui i giovani non si sentono mai sufficientemente colmi di identità, mai sufficientemente attivi se non quando superano se stessi, senza mai essere se stessi. La nuova depressione, come patologia dell’azione, deriva da un senso di insufficienza che si situa nello scarto tra ciò che si potrebbe fare secondo le aspettative altrui, e non si è in grado di fare. Le nostre incapacità entrano in collisione con i paradigmi di efficienza e di successo che la società odierna considera essenziali per conferire rilevanza e dignità esistenziale a ciascuno di noi. Non basta essere semplicemente ciò che si è. Bisogna essere persone di successo. Costi quel che costi.

  • Cambiamento culturale sovversivo occorso verso la fine degli anni 70 ovvero il passaggio dalla famiglia etica alla famiglia affettiva, il cui scopo è costruire figli felici, in cui esiste la cultura del dialogo, in cui si esprimono liberamente emozioni e sentimenti. La conseguenza negativa di questo tipo di famiglia, se radicale, è che alleva figli con un basso livello di tolleranza alla frustrazione e al dolore mentale in caso di contrarietà e rovesci affettivi.

  • La nostra è un’epoca di padri assenti sia fisicamente che simbolicamente. Numerosi studi confermano la netta correlazione esistente tra violenza giovanile e assenza di figura paterna. La mancanza del genitore dello stesso sesso con cui identificarsi e costruire la propria identità può portare alcuni giovani ad indurirsi, assumendo una pseudoidentità maschile dai tratti caricaturali e stereotipati. Se manca nella vita la persona che per ruolo dovrebbe svolgere la funzione normativa, è difficile interiorizzare la funzione normativa, che consente di attribuire valore alla norma. I genitori hanno ruoli educativi diversi e non intercambiabili, anche se in parte sovrapponibili. La madre, secondo il codice materno, offre accoglienza incondizionata e ridimensionamento dei problemi. Solo successivamente il padre, secondo il codice paterno, introduce le regole e il senso del limite. In buona sostanza introduce i no che aiutano a crescere, perché allenano a tollerare la frustrazione. Il ruolo del padre è quello di aiutare il figlio a individuarsi e a fare il suo ingresso in società, allontanandosi progressivamente dal rapporto fusionale con la madre. Dovrebbe celebrare la sua seconda nascita, quella sociale. La madre dà la vita e le cure primarie mentre al padre tocca la fase secondaria. Un tempo esistevano i riti di iniziazione, presieduti da un anziano che simboleggiava l’autorità paterna, che sancivano il passaggio dalla prima alla seconda fase di crescita. Si soffriva per acquisire un’identità. Oggi la sofferenza è bandita e l’imperativo della società consumistica è il soddisfacimento immediato dei bisogni. Tollerare il mancato soddisfacimento dei bisogni è un altro compito della figura paterna. Importantissimo, perché ci abitua all’alternanza di dare e avere, che è la condizione necessaria per diventare essere morali. Gli stupri di gruppo e le sfide mortali sembrano essere riti di iniziazione in assenza di una figura maschile adulta che funga da garante. Il gruppo dei pari sopperisce la mancanza di un adulto carismatico. I giovani in assenza della figura paterna, si trovano un mentore loro coetaneo, con le caratteristiche del bullo. Oggi i padri sono assenti sia fisicamente, per motivi di lavoro, per il diffondersi di famiglie monofocali conseguenti a separazioni e divorzi. Ma anche simbolicamente, perché, se presenti, delegano l’educazione dei figli alla madre oppure preferiscono proseguire nell’accudimento primario. Sembra che non riescano più a tollerare la parte sporca del loro lavoro: dire no. Fanno fatica a dire di no, perché hanno bisogno dell’approvazione dei figli. Chi svolge il ruolo paterno all’interno della famiglia? Nessuno. Rinunciare ad esso significa rinunciare al ruolo d’autorità, strettamente legato alla figura paterna, deresponsabilizzandosi. Poi come si può accusare gli adolescenti di non voler crescere se nelle teste dei genitori c’è spazio solo per l’infanzia? Come si può accusarli di non volersi assumere responsabilità se i padri fanno altrettanto? Come se non bastasse lo stesso sistema scolastico registra una netta prevalenza femminile tra i docenti. Che anche il padre si occupi di accadimento primario corrisponde ad una involuzione della società, in cui è sempre più evidente la tendenza a sottrarsi alla dimensione sociale per rifugiarsi nel proprio angolo privato.

  • Il bullo spesso è un ragazzo che ha subito violenze o ha ripetutamente assistito a comportamenti familiari aggressivi. Può anche essere vittima della convinzione familiare e sociale che atteggiamenti di debolezza rappresentano un pericolo per l’integrità della persona, così come empatia e compassione vengono vissuti come sintomi di debolezza. O ha sperimentato scarso attaccamento e scarsa sorveglianza da parte dei genitori.

  • Mancata capacità di gestire un conflitto. L’accumulo di conflitti soffocati può degenerare in comportamenti bullistici.

  • Nancanza di calore e interesse da parte della famiglia, in particolare della madre.

  • Modo di attirare l’attenzione per un bisogno non accolto e dunque non soddisfatto di visibilità.

  • Aspettative poco realistiche dei genitori nei confronti del figlio, che viene sgridato, umiliato, minacciato per il suo comportamento.

  • Il bullo lancia un grido d’aiuto nell’unico modo che conosce.

 

La trasgressività è una caratteristica universale dell’adolescenza, per questo è molto difficile capire quando esprime un bisogno di crescita e di maggiore autonomia rispetto al mondo adulto e quando invece è segnale di un disagio. Cogliere la differenza permette agli adulti di comportarsi in modo più adeguato, distinguendo quando è il caso di perdonare, quando di punire e quando di negoziare.

Comprendere le ragioni affettive dei comportamenti degli adolescenti, non significa giustificarli né da un punto di vista educativo e men che meno da un punto di vista penale. Tutt’altro. La giustificazione genera deresponsabilizzazione, perché invoca cause esterne all’individuo, mentre la ricerca delle ragioni affettive connesse a bisogni e desideri conserva la responsabilità personale. Le ragioni affettive sono sempre ragioni umane. Appartengono a persone e non a mostri. Spesso le azioni trasgressive sono opache per gli stessi adolescenti che le mettono in atto. Comprenderle significa fornire risposte più adeguate ai bisogni evolutivi, prevenire il passaggio dalla trasgressività alla delinquenza, rendere gli adolescenti più consapevoli dei loro bisogni e quindi più in grado di orientare i loro comportamenti. I media quotidianamente forniscono interpretazioni frettolose delle azioni trasgressive più spettacolari degli adolescenti. Questo non li aiuta. Perché avendo un’identità fragile, in quanto è in costruzione, sono particolarmente sensibili ai processi di etichettamento. Paradossalmente dare un’immagine negativa di sé può voler dire differenziarsi più marcatamente dalle immagini degli adulti. Gli adolescenti di oggi sono molto più alle prese con problemi di identità, che non con problemi sessuali o di controdipendenza ideologica dal modo degli adulti. La loro trasgressività non sembra essere tanto un attacco al mondo adulto quanto una ricerca privata del piacere e del divertimento, confinata nello spazio del week-end. La risposta di controsfida dell’adulto rivela l’incapacità di metabolizzare la carica distruttiva dell’azione deviante, rendendola pensabile per l’adolescente.

 

Le regole assumono forme diverse nella relazione educativa. Fanno la loro prima comparsa quando i genitori rispondono ai bisogni primari dei bambini e ne regolano ritmi del sonno, alimentazione, pulizia. La costruzione di ritmi e abitudini è la base della costruzione del sistema di regole nell’infanzia. Successivamente i genitori chiedono esplicitamente al figlio di aderire alle regole, che diventano norme. Ogni sistema di regole implica dei valori che la norma è chiamata a tutelare. L’etica è l’espressione matura del sistema delle regole, perché si passa dall’adesione a regole imposte alla costruzione di un proprio sistema di valori che guidano il comportamento. Rispetto a questo va sottolineato il cambiamento radicale della famiglia: da normativa-etica ad affettiva con due conseguenze: bassa tolleranza alla frustrazione valorizzazione delle differenze individuali rispetto all’adesione delle norme collettive. Cioè l’individuo e le sue ragioni prevalgono sui ruoli sociali e sulle regole tradizionali. L’educazione alle regole in parte è insegnata, in parte avviene attraverso l’esempio. Non basta insegnare la buona educazione, perché un buon rapporto con le regole deriva anche da una relazione empatica con gli adulti di riferimento.

In genere le ragazze trasgrediscono per amore, mentre i ragazzi in nome del piacere o dell’affermazione virile. Da ricerche recentemente effettuate sembra molto diffusa nella cultura giovanile una valutazione positiva della trasgressione. Trasgredire e rischiare sono considerate una condizione essenziale per aver successo in una società sempre più competitiva. Lo stesso aumento del consumo di alcool e droghe leggere sembra essere un tratto caratteristico della cultura giovanile piuttosto che necessariamente la manifestazione di un disagio. Sembra diffusa tra i giovani l’opinione che non dovrebbero essere regolamentati socialmente quei comportamenti che attengono all’area privata: comportamenti sessuali e uso di sostanze. Quindi una forte rivendicazione di libertà nella costruzione dei valori personali, che radicalizza l’orientamento della società attuale in cui prevale un’etica privata a discapito di quella pubblica.

Le trasgressioni tipicamente adolescenziali riguardano l’appropriazione o il danneggiamento di oggetti. E non tutti i ragazzi che compiono atti trasgressivi sono delinquenti e soprattutto si è attenuata la correlazione tra condizioni sociali disagiate e devianza.

 

Ogni atto trasgressivo ha le sue motivazioni soggettive individuali, che si differenziano da persona a persona, da storia a storia. Tuttavia è possibile estrarre dalle storie dei motivi narrativi ricorrenti.

 

Il bullo spesso è caratterizzato da impulsività, cioè non pensa ma agisce; da problematiche narcisistiche, cioè compie azioni trasgressive per mantenere un’immagine di sé adeguata; da passività, cioè ricerca emozioni forti per dimostrare a se stesso di esistere; da vissuti depressivi, cioè sollecita inconsciamente gli adulti a punirlo, pur di avere qualcuno che si interessi a lui. Oppure si sente in credito con la vita. Invidia i suoi coetanei che considera dei privilegiati, tacitando ogni forma di empatia nei loro confronti. L’empatia è un grosso freno alla trasgressione/ aggressione che rappresenta un modo spesso inconsapevole di ristabilire una sorta di giustizia distributiva.

Significati affettivi

Mentire: esibire o al contrario nascondere, cioè a proteggere aspetti di sé ancora molto fragili. È un modo per cominciare a tollerare di avere uno spazio privato. Il bisogno di condividere tutto segnala la difficoltà di rendersi autonomi. L’uso sistematico della bugia, invece, può rimandare a problematiche di falso sé, in tal caso lo smascheramento può essere drammatico. Adolescente è il vero destinatario della bugia, perché mente prima di tutto a se stesso. Oppure a problematiche di adattamento alle regole.

Le bugie a scuola spesso segnalano una difficoltà nella comunicazione con i genitori, che lo studente teme di poter deludere mostrando le proprie difficoltà. L’insegnante può svolgere la funzione di mediatore, sdrammatizzando la trasgressione e cercando di individuarne le cause. Schierarsi incondizionatamente dalla parte dei genitori rischia di rinforzare l’isolamento del ragazzo.

Rubare: durante l’infanzia si ruba per invidia o gelosia un oggetto, che è il segnale della benevolenza degli adulti. L’oggetto rappresenta ciò che si desidera ricevere dagli adulti. Il furto tra gli adolescenti è estremamente diffuso. Talvolta rubano perché non sanno tollerare la dilazione del bisogno e la frustrazione dell’attesa. Spesso non rubano per il bisogno di avere, quindi per mancanza, ma per il bisogno di essere. Raccontano che le emozioni che precedono il furto sono la noia e la tristezza. Si tratta di sentimenti di mancanza e di vuoto che sperano che l’oggetto desiderato possa colmare. Inizialmente rubano dentro le mura di casa per non dover chiedere, perché non tollerano più la dipendenza dai genitori. Il furto sta a segnalare problemi relativi al processo di separazione-individuazione. Si sentono troppo dipendenti e vogliono dimostrare di non esserlo. Il significato simbolico del furto è acquisire la potenza adulta dei genitori. Il dover chiedere è un’umiliante conferma della dipendenza che il furto magicamente annulla.. Rubare grosse somme incuranti di essere scoperti è più inquietante, perché significa dover sostenere spese che non possono essere giustificate ai genitori, oppure segnala una sfida onnipotente agita in opposizione ad una dipendenza patologica. Spesso sono gli adulti a non voler riconoscere il bisogno di autonomia e di sviluppo dei figli. La vittima del furto a volte il prototipo di qualche categoria di individui, più che un individuo specifico nei confronti del quale si nutre rancore. Ad esempio, il rappresentante dei figli di papà, l’adulto ingiusto e svalutante ecc.. Ci sono occasioni specifiche per celebrare il furto: tipicamente le gite scolastiche. L’oggetto rubato viene esibito come una sorta di trofeo iniziatico e il furto rappresenta una sorta di rito di iniziazione. Una prova di abilità, che comporta un rischio e implica coraggio. Rappresenta una sfida, tanto più elevata quanto più l’oggetto è inutile. Diverso è il furto commesso tra le mura della scuola. In questo caso sembra esserci una frattura profonda tra l’adolescente e un potere sentito come profondamente ingiusto, da sfidare e combattere senza quartiere. Gli adolescenti rappresentano il target privilegiato dell’industria dei consumi, ma paradossalmente faticano a entrare nel mondo del lavoro, destinati a rimanere a lungo studenti consumatori, dipendenti dalla famiglia e carichi di desideri. Tale contraddizione sociale fa sentire i suoi effetti sulla psicologia degli adolescenti. Il diritto di avere prende il posto del guadagnarsi anche solo simbolicamente qualcosa.

Il furto in classe spesso viene gestito con la richiesta di delazione e la trasformazione degli insegnanti in detective. Non è produttivo che si crei un clima di sospetto reciproco. I ragazzi stessi accusano invariabilmente i compagni delle altre classi, proprio per salvaguardare la fiducia all’interno del gruppo, sebbene tutti sappiano che il più delle volte il colpevole sia all’interno del gruppo. La scoperta del colpevole non è di per sé produttiva e rischia di accentuare i vissuti di esclusione all’origine del gesto. La sanzione, nel caso in cui l’autore del furto venga scoperto, va accompagnata da interventi volti a migliorare il suo inserimento nel gruppo classe.

Aggredire: l’adolescenza è accompagnata da un aumento diffuso dei comportamenti impulsivi e da una minore capacità di autocontrollo. Diverse sono le modalità di espressione dell’aggressività maschili e femminili. I maschi lottano o simulano la lotta. Le femmine esprimono l’aggressività verbalmente con insulti che riguardano l’area della sessualità. Alla radice del bullismo spesso c’è il bisogno di farsi rispettare per sopravvivere senza umiliazioni e allontanare lo spettro della marginalità. Il bullo può essere un ragazzo di 13 o 14 anni, con qualche anno di ritardo scolastico, circondato da ragazzi più piccoli e più attrezzati di lui nelle regole dello stare a scuola. Frustrato sul piano scolastico, finge di disinteressarsi di apprendere ciò che in realtà considera inaccessibile per sé. Non ha libri né quaderni. Non svolge i compiti, non ha i soldi per andare in gita. In compenso sa come comportarsi da maschio adulto: con le ragazze ci sa fare, affascina i compagni con la forza fisica e con le bravate, intimorisce gli insegnanti alzando la voce e impedendogli di avere autorità su di lui. Finge di non essere interessato alle lezioni, impedendo agli altri di esserlo. Le sue imprese catturano l’attenzione. La conquista dell’ammirazione dei coetanei e della loro sottomissione serve a tenere a bada un’immagine di sé molto svalutata e perciò minacciosa. Aggredire nelle situazioni in cui l’immagine positiva di sé si incrina e si è obbligati a fare i conti con i propri sentimenti di inadeguatezza. Le aggressioni ai genitori spesso rimandano a tematiche di separazione: l’adolescente è lacerato tra la volontà di separarsi e l’angoscia di essere abbandonato; le aggressioni ai diversi sottendono tematiche persecutorie: proietto fuori di me aspetti disprezzati o temuti che possono contaminare. Spesso con il rinforzo della famiglia che teme la socializzazione extra familiare. Le aggressioni a scuola spesso sottendono un riconoscimento mancato.

Le aggressioni tra compagni di classe spesso riguardano conflitti di leadership. Spesso i ragazzi più capaci di controllare gli impulsi provocano e fanno perdere il controllo a quelli meno capaci, che appaiono i colpevoli. In questo caso è importante individuare non solo i colpevoli ma anche i mandanti

Distruggere: i comportamenti distruttivi o vandalici nascono dal bisogno di lasciare un segno del proprio passaggio quando si ha il dubbio che la propria presenza abbia poco significato e valore per i destinatari del messaggio. È un modo per segnalare di esistere. Spesso l’atto vandalico è preceduto da una situazione emotiva di gruppo caratterizzata da un senso di vuoto esistenziale profondo, di inutilità, cui fa seguito una grande rabbia. Verso chi non si sente mai svuotato, possiede le situazioni, ha consapevolezza del proprio ruolo nel mondo e per questo è riconosciuto e apprezzato dagli altri. La protesta non è tanto rivolta verso uno specifico interlocutore quanto verso una realtà extra familiare tanto seduttiva e stimolante quanto indifferente nei confronti del singolo. Il comportamento vandalico spesso nasce un senso di non appartenenza: lo stesso adolescente sente di non appartenere a nessuno. Gli autori dei danneggiamenti scolastici sono per lo più maschi, che non si riconoscono nella propria scuola, perché non si sentono considerati e ascoltati. Sperimentano un senso di vuoto e di abbandono, che si accentuano quando è carente l’autorità del preside, che non riesce a comunicare l’idea di una scuola in cui ciascuno ha un proprio ruolo e un proprio compito. Oppure rompono le attrezzature scolastiche per protesta nei confronti degli insegnanti. Perché pensano di essere stati ingiustamente puniti, non ascoltati. L’atto vandalico però può anche essere semplicemente un’azione esibizionistica.

La scuola tende ad intervenire nei confronti degli atti vandalici con indagini volte alla ricerca del colpevole, spesso sollecitando la delazione. Tale modalità di solito fallisce perché la responsabilità individuale viene supportata dalla connivenza del gruppo. Meglio un intervento indiretto come una maggiore cura dell’ambiente scolastico.

Violentare: I genitori odierni parlano di sessualità ai propri figli, ma lo fanno con un linguaggio tecnico-scientifico, neutro sul piano degli affetti. La sessualità insieme al comportamento alimentare è una modalità tipicamente femminile di espressione di conflittualità intrapsichica. La sessualità precoce e compulsiva è una trasgressione tipicamente femminile. Ha a che fare con una fame di relazione dovuta a deprivazioni affettive primarie. Può essere usata come agito nei processi di separazione-individuazione, con l’idea di portarsi avanti nel processo maturativo come molte azioni devianti maschili. Il reato sessuale in gruppo in adolescenza è un segnale di debolezza e di timore nei confronti della donna. I ragazzi devianti considerano di valore la sfida tra uomini per conquistare la donna, non accettano la dipendenza dalla donna attraverso il desiderio. Per questo gli adolescenti imputati di reati sessuali hanno vita dura nelle carceri minorili. Nelle storie di questi ragazzi vi sono dei tratti comuni: vissuti di inadeguatezza che nascono dai ripetuti fallimenti di nascita sociale, di cui emblematico è il fallimento scolastico. Questo causa un blocco del percorso di socializzazione e una reinfetazione nell’ambito familiare che alterna tratti abbandonici a tratti iperprotettivi. Da un lato non ne sostiene la nascita sociale, dall’altro li difende a spada tratta, attribuendo le colpe al mondo esterno. Una scarsa problematizzazione etica accomuna questi ragazzi alle loro famiglie, ostacolando la nascita del senso di colpa.

 

La trasgressione è un tratto comune dell’adolescenza: serve a prendere le distanze dal mondo degli adulti e superare la dipendenza infantile. Ciò che distingue la devianza dalla trasgressione è la maggiore distruttività e la minore presenza di freni inibitori. L’azione deviante nasce improvvisamente, senza premeditazione, senza una valutazione realistica delle sue conseguenze, sull’onda dell’eccitazione che serve a colmare un profondo senso di vuoto e di inutilità. Neanche la vittima è designata. Magari ha solo il torto di possedere abiti più alla moda, uno scooter nuovo modello, la ragazza più carina. Sono piccoli segnali che fanno scattare il confronto perdente e scatenano l’aggressività. Gruppi di questo tipo sono costituiti in genere da ex compagni di scuola, che non la frequentano più, dopo aver accumulato una serie di fallimenti. Hanno abbandonato anche l’attività sportiva, meno gloriosa di quello che si erano immaginati e più faticosa del previsto. Magari sono anche stati piantati dalla ragazza. Si trovano a condividere il loro tempo vuoto. In assenza di padre, più simbolica che reale, il gruppo funge da sostituto paterno. Ma più in generale il gruppo adolescenziale celebra una serie di riti e per questo sottopone a prove iniziatiche di coraggio, che servono a saggiare quanto autentico sia il desiderio di emancipazione dalla dipendenza

Bibliografia

A.Marcoli, Il bambino arrabbiato, Arnoldo Mondadori Editore 1996

U.Galimberti, L'ospite inquietante, Giangiacomo Feltrinelli Editore 2007

E.Riva A.Maggiolini, Gli adolescenti trasgressivi, Le azioni devianti e le risposte degli adulti Franco Angeli 1999

A.Civita, Il bullismo come fenomeno sociale, Franco Angeli 2006

D.Novara L.Regoliosi, I bulli non sanno litigare, Carocci Faber 2007

 

IL BULLISMO

    Indice

Premessa 2

Differenza tra Rabbia / Aggressività / Violenza 2

Gli adulti hanno spazio di intervento? 6

Cosa possono fare gli insegnanti? 8

Il contesto scuola 9

Cause 10

Significati affettivi 13

Bibliografia 16


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