La psicoterapia psicoanalitica nell'adolescenza e la formazione dello psicoterapeuta
di Marco Longo
Si sente spesso dire dagli adulti che l'adolescente "non è né carne né pesce", intendendo così evidenziare che egli non è più un bambino, ma al contempo non è ancora un adulto. Si tratta probabilmente di un giudizio difensivo e svalutante, in cui si tende a dire ciò che l'adolescente non è, piuttosto che cercare di capire l'essenza del suo essere. Inoltre con questa operazione riduzionistica e semplificante non si tiene affatto conto della complessa realtà psicodinamica dell'adolescenza come periodo di passaggio dall'infanzia all'età adulta, da un'immagine di sé come bambino ad un'immagine di sé come adulto.
L'adolescente avverte in pieno la tensione trasformativa in atto nella sua personalità, e di conseguenza percepisce e soffre dentro di sé la compresenza conflittuale di due componenti antitetiche mescolate: tante nuove scoperte ed esigenze adulte, confusivamente frammiste ai residui delle istanze e dei bisogni infantili. A mio avviso sarebbe quindi più corretto, volendo inquadrare con una battuta questa dimensione transizionale, affermare che l'adolescente vive il dramma esistenziale di sentirsi insieme "sia carne che pesce".html/body/p[3]
Comprendere appieno questa realtà particolare è premessa indispensabile non solo per lo studio psicodinamico dell'adolescenza, ma anche e soprattutto per la scelta di una strategia psicoterapeutica che permetta di entrare in contatto con l'adolescente in crisi, superandone le forti resistenze difensive. Tutti conosciamo infatti le difficoltà che si incontrano per la costituzione ed il mantenimento dell'alleanza terapeutica con il paziente adolescente, nonché le difficoltà di calibrare la tecnica per la riuscita di un trattamento specificamente mirato.
Cerchiamo dunque per prima cosa di vedere il mondo con gli occhi dell'adolescente, per poi avvicinarci meglio alla descrizione della sua realtà psicodinamica; nella quale occorre poi distinguere, per quanto è possibile, gli aspetti che potremmo considerare fisiologici della crisi adolescenziale, intesa come necessario passaggio maturativo, da quelli più francamente patologici che possiamo rilevare nell'adolescente con problemi, per il quale si pone la necessità di un adeguato aiuto psicoterapeutico.
Dal punto di vista dell'adolescente gli adulti appaiono come i gestori di una struttura di potere e di controllo, gli appartenenti ad una classe privilegiata e tirannica che opprime il mondo intero. L'adolescente non riesce a dare il giusto valore alla conoscenza ed alle capacità degli adulti; egli ha piuttosto la sensazione che essi siano tutti ipocriti e frodatori, in possesso di qualcosa che non hanno il diritto di possedere, come un'organizzazione aristocratica che tenta di conservare il proprio potere assoluto e prevaricatore. Per converso i bambini vengono considerati dall'adolescente come prigionieri o servi dei loro stessi genitori, schiavi soprattutto ancora dell'illusione che i loro genitori-padroni conoscano tutto e possano fare tutto, mentre egli si sta sempre più rendendo conto di aver creduto troppo a lungo in falsi Dei, ora delusivamente scoperti impotenti e bugiardi.
La posizione dell'adolescente è quindi piena di disprezzo sia nei confronti degli adulti che dei bambini, cosa che rappresenta anche uno dei principali problemi tecnici per la clinica. L'adolescente in crisi tende infatti a rifiutare l'aiuto psicoterapeutico per due opposti motivi: sia perché teme una manipolazione da parte di un adulto che, pretendendo di curarlo, potrebbe cercare di imporgli modelli di pensiero e di comportamento inaccettabili e non essere capace di accettare senza reagire le sue rigide critiche al mondo degli adulti; sia perché si rende consciamente o inconsciamente conto che il lavoro psicoterapeutico potrebbe comportare la rivisitazione dolorosa dei propri conflitti infantili, negati o proiettati, e comunque rimossi perché considerati cose da bambini.
Tenterò ora di inquadrare gli aspetti che potremmo considerare fisiologici della crisi adolescenziale facendo riferimento al lavoro di Donald Meltzer. Come gli altri autori di formazione psicoanalitica, Meltzer descrive la situazione psicodinamica dell'adolescenza considerandola come un periodo di crisi dello spazio mentale e della sua integrazione, caratterizzato a suo avviso dalla presenza di un particolare tipo di splitting: da un lato l'invidia per il potere, l'egocentrismo, I'ambizione sfrenata; dall'altro la sensibilità per i deboli, I'idealizzazione dell'altruismo, I'emotività.
Nel tentativo di trovare ed esprimere un proprio nuovo modo di essere l'adolescente oscilla continuamente tra queste due posizioni, vivendo, inoltre, uno stato di grande confusione tra ciò che può portarlo avanti o indietro rispetto a quella che percepisce chiaramente come una scomoda e faticosa situazione intermedia tra infanzia ed età adulta: nel desiderio di staccarsi dalla dimensione infantile, considerata debole e dipendente, I'adolescente teme fortemente la sua stessa grande sensibilità, perchè ha paura che mostrarsi troppo sensibile lo possa far di nuovo scivolare indietro verso l'infanzia e la dipendenza dagli adulti; contemporaneamente, nel desiderio di progredire verso la dimensione adulta, considerata cinica ed assolutista, tende a pensare che l'unico modo di rendersi indipendente sia quello di andare avanti senza pietà sulla strada di un grandioso successo, ed allora scopre la paura di essere costretto a rinunciare completamente alla propria emotività.
In sostanza, secondo Meltzer, I'adolescente si trova a dover gestire una situazione paradossale, in cui tende a considerare ciò che può portarlo realmente avanti verso la maturità psicologica - ovvero la sensibilità e l'interessamento per gli altri, per l'arte e la letteratura, il sognare un mondo migliore ed il desiderio di contribuire alla sua realizzazione, la consapevolezza della propria relativa debolezza ed impotenza e quindi il desiderio di collaborare con gli altri per costruire insieme quello che non si può fare da soli - tende a considerare tutto questo, dicevo, come qualcosa che può farlo precipitare invece indietro.
Si manifesta allora così pienamente uno dei conflitti principali della crisi adolescenziale, che caratterizza una situazione di sofferenza mentale dell'adolescente stesso che potremmo considerare fisiologica. La difficoltà a tollerare ed a risolvere questo conflitto può tuttavia portare l'adolescente ad entrare in un percorso di crisi personale e di sofferenza più grave, tale da porre il problema tecnico della necessità di un aiuto psicoterapeutico.
Parlo di problema tecnico perché, come fanno notare quasi tutti gli autori, la richiesta di aiuto in adolescenza non viene quasi mai dall'adolescente stesso, ma ben più spesso ci troviamo di fronte all'invio da parte dei genitori, della scuola, dei tribunali, ecc.; ma esiste anche un notevole numero di adolescenti con problemi per i quali non matura affatto, né come richiesta personale, né per un intervento istituzionale, una domanda di aiuto nel periodo adolescenziale, anche se teoricamente, dal mio punto di vista, un intervento psicoterapeutico potrebbe essere invece tecnicamente necessario, in particolare un intervento che comprenda tutta la famiglia.
Per chiarire questo punto faccio ancora una volta riferimento all'impostazione di Meltzer, che trovo utile anche a livello esplicativo, per cercare di descrivere il panorama tipologico degli adolescenti con problemi. Si possono distinguere quattro categorie di ragazzi:
I) I'adolescente che tende a rimanere nella famiglia;
2) l'adolescente che tenta di entrare il più velocemente possibile nel mondo adulto;
3) I'adolescente isolato, che per lo più non sente di essere in difficoltà, ma di cui tutti si preoccupano;
4) I'adolescente che ha problemi nel gruppo dei coetanei.
E' evidente che la richiesta di intervento riguarda quasi esclusivamente il terzo ed il quarto tipo di ragazzo, per i motivi che dirò tra breve, mentre quasi mai vedremo chiedere aiuto, perlomeno in adolescenza, gli individui delle prime due categorie, che, anche se in modo opposto, trovano per lungo tempo il modo di negare la propria sofferenza mentale.
1) L'adolescente che tende a rimanere in famiglia viene infatti molto spesso favorito in questa sua scelta difensiva dalla famiglia stessa, il che comporta una fissazione al periodo di latenza; il perdurare di una visione del mondo ovattata ed irreale porta questi individui a condurre una vita protetta, riducendo al minimo le esperienze stressanti; essi vanno però frequentemente incontro in età successiva ad un grave crollo psicologico, perlopiù in occasione della nascita di un figlio o della morte dei genitori, crollo che rende spesso necessaria una richiesta di aiuto.
2) Al secondo tipo appartengono gli adolescenti che hanno deciso di andare avanti senza pietà, raggiungendo il più presto possibile il successo e l'indipendenza; questi individui utilizzano fortemente le difese maniacali per liberarsi dall'ansia e da ogni sofferenza, trovando un potente rinforzo narcisistico nel rendere gli altri invidiosi; ma la tendenza è a diventare nevrotici verso i 30 anni, rendendo ormai improrogabile un intervento psicoterapeutico, che avrà il compito di aiutarli ad attraversare il momento adolescenziale che hanno cercato di evitare.
Veniamo ora alle due categorie per le quali si pone più di frequente il problema di un adeguato intervento psicoterapeutico più di frequente già in adolescenza.
3) Gli adolescenti isolati sono gli individui in cui si manifesta la situazione psicopatologica più grave, che ha quasi sempre origine da un crollo catastrofale di una troppa intensa idealizzazione dei genitori; l'adolescente si ritira in se stesso, irrigidendosi in un'organizzazione narcisistica autocritica, vivendosi come l'unico garante della propria assoluta autonomia; questi ragazzi possono tendere ad isolarsi restando in famiglia, vivendo una megalomania che potremmo definire <>, sentendo che hanno una missione da compiere per se stessi e quindi non possono venire a patti con il mondo; oppure possono tendere a vivere ai margini di ogni spazio istituzionale regolamentato, convinti di bastare a se stessi, sviluppando spesso comportamenti devianti o francamente psicopatici; nel primo caso è spesso la famiglia a richiedere l'aiuto psicoterapeutico, mentre nel secondo è più spesso uno dei livelli istituzionali sociali (scuola, tribunale, ecc.).
4) Al quarto tipo appartengono i ragazzi che, pur essendo usciti dal periodo di latenza ed essendo entrati a far parte di gruppi di coetanei, vivono con difficoltà gli intensi processi di identificazione su cui si basa la coesione e l'organizzazione di questi gruppi, fino a manifestare la presenza di problemi nella maturazione psicosessuale della loro personalità; vediamo di capire a che livello si creano questi problemi.
Come sappiamo l'adolescente tende normalmente ad entrare dapprima in un gruppo di pari, cioè "amici" dello stesso sesso, fortemente regolato, dove vive essenzialmente dinamiche di confronto e di potere; poi il prelevare delle spinte puberali porta a successivi distacchi, man mano che si formano le prime coppie con ragazzi o ragazze dell'altro sesso, fino alla dissoluzione dei gruppi omosessuali ed alla costituzione di nuovi gruppi eterosessuali, perlopiù formati da coppie; successivamente anche questi gruppi tendono a dissolversi, man mano che ogni ragazzo o ragazza sceglie la sua strada nella vita e quindi nuove dimensioni di appartenenza più adulte.
Da un punto di vista bioniano potremmo dire che il primo tipo di gruppo presenta un assetto dinamico in cui prevale la posizione schizoparanoide e l'assunto di base di attacco-fuga, mentre nel secondo tipo di gruppo cominciano a prevalere la posizione depressiva e l'assunto di base di accoppiamento; da ciò derivano i diversi quadri psicopatologici che possono giungere alla nostra osservazione.
La maggior parte degli adolescenti per cui si pone il problema di un aiuto psicoterapeutico proviene dal gruppo omosessuale, di cui soffre fortemente le dinamiche competitive e le rigide regole di inclusione-esclusione; in secondo luogo ci troviamo di fronte a ragazzi che non riescono a compiere i passaggi evolutivi da un gruppo all'altro e poi verso la vita adulta; in tutti ritroviamo in primo piano problematiche riguardanti l'immagine di sé e conflitti che derivano dalla difficoltà di gestire la confusione e la conoscenza, nonché naturalmente la difficoltà nel tollerare la sofferenza mentale. Anche nel caso di questa categoria di adolescenti con problemi prevale la richiesta di aiuto da parte delle famiglie o di altri livelli istituzionali; tuttavia oggi non è più così raro che in questo caso la domanda di aiuto provenga anche direttamente dai ragazzi in crisi.
Da quanto abbiamo visto risulta che il problema di dare una adeguata risposta alla richiesta di aiuto psicoterapeutico in adolescenza dipende fortemente dal tipo di ragazzo e di famiglia. Sottolineo la famiglia, perché l'orientamento moderno tende ad affrontare parallelamente, quando non congiuntamente, i problemi del ragazzo e quelli della sua famiglia. Rimanendo alla vasta letteratura in proposito, ed in particolare al libro di Marcelli e Braconnier, tutta la grande questione della scelta del tipo di modello di intervento psicoterapeutico, anche perché nella realtà questa scelta dipende spesso dal tipo di servizi pubblici e privati presenti nel territorio. Mi limiterò quindi a parlare brevemente degli interventi orientati psicoanaliticamente.
Pressoché la totalità degli autori, anche di formazione analitica, concorda sul fatto che la psicoterapia dell'adolescente richiede un atteggiamento sufficientemente attivo del terapeuta. Si tende quindi ad escludere l'analisi classica, che può essere casomai consigliata successivamente, in età adulta; si privilegia invece lo strumento della psicoterapia psicoanalitica, sia individuale che di gruppo, ed in questo caso la tecnica d'elezione sembra essere lo psicodramma analitico. In ogni caso il lavoro viene centrato sul tentativo di rimettere in moto il funzionamento mentale e la circolazione degli affetti, cercando di superare la negazione e soprattutto alleviando la necessità di ricorrere alla scissione come meccanismo di difesa.
Per quanto riguarda la famiglia, in qualche caso può essere consigliabile un trattamento analitico classico di uno o di entrambi i genitori, ma perlopiù si utilizzano altri strumenti, quali la psicoterapia analitica di gruppo, la psicoterapia analitica di coppia, il gruppo analitico per coppie di genitori e naturalmente lo psicodramma analitico. Dalla mia esperienza personale traggo la convinzione che non sempre è necessario intervenire sull'adolescente, ma che è quasi sempre necessario intervenire sulla famiglia, la cui domanda di cura per l'adolescente va a mio avviso adeguatamente interpretata ed allargata. L'intervento sui genitori si rende poi assolutamente necessario nei casi in cui l'adolescente presenti problemi di anoressia-bulimia o un atteggiamento deviante di tipo psicotico o psicopatico, ed inoltre nei casi in cui sia presente un comportamento violento dei genitori stessi.
Per quanto riguarda l'adolescente ritengo sovente sufficiente una psicoterapia analitica breve o un gruppo a termine; intendo naturalmente un gruppo composto di coetanei e con problemi non troppo dissimili. Nei casi più gravi credo che la scelta debba orientarsi sulla psicoterapia analitica individuale o sullo psicodramma, che può anche far seguito alla terapia individuale. Nella terapia analitica dell'adolescente comunque non è tanto importante analizzare il transfert (e qui rimando alla vasta bibliografia in merito alla tecnica), quanto accogliere ed accompagnare il ragazzo o la ragazza nel difficile percorso trasformativo della sua mente e del suo corpo, facilitando la mobilità del pensiero e fluidificando la tendenza alla rigidità rappresentazionale.
Un ultimo punto sul quale vorrei soffermarmi è relativo alla necessità di saper utilizzare appieno con l'adolescente la relazione empatica ed i livelli preconsci del pensiero, evitando ogni tendenza a fornire più o meno dotte interpretazioni o spiegazioni, anche quando sembrano provocatoriamente richieste. L'adolescente ha bisogno di essere aiutato soprattutto ad accettare la presenza del dubbio e dell'ambivalenza nel pensiero, ma difficilmente si può ottenere questo se non immergendosi completamente insieme a lui nelle aree più confuse della sua mente, tollerando insieme a lui la sofferenza profonda che caratterizza la sua situazione psicodinamica transizionale ed affiancandolo nella sua ricerca di una personale via di uscita.
Per raggiungere questa capacità di ascolto e di intervento è necessaria una opportuna formazione, non solo teorica o tecnica, ma soprattutto centrata sull'analisi personale del futuro terapeuta. L'obiettivo è quello di fornire ai futuri terapeuti un modello formativo che si basa sull'integrazione dinamica tra l'apprendimento teorico e l'ampliamento della conoscenza di se stessi, attraverso l'analisi, col fine di favorire l'aumento della mobilità del pensiero. Uno spazio mentale sufficientemente ampio può contenere il bagaglio teorico e concettuale senza esserne mai completamente saturato, lasciando così aperta la possibilità di accogliere, tollerare e quindi comprendere (cioè prendere insieme, riunire dentro di sé) il nuovo, il diverso, I'altro, il paziente.