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Bogliolo C. - Mitologie Familiari e bambini pazienti

psicologia, psicoterapia, psichiatria, attacchi di panico, fobie, disturbi umore

Attribuendo pervasività ad una credenza o un principio, si pone il punto di partenza del mito. Attraverso la relazione il neonato compie le prime rappresentazioni di sé e dell’altro, sviluppando comportamenti e aspettative. La famiglia si pone come matrice della sua identità e come punto di riferimento per la trasmissione delle tradizioni e dei valori.
Mead (1934) parlava del Sé del bambino, che costruiva attraverso le interazioni e l’incorporazione dei modelli mentali collettivi; il Sé non è dato, ma costruito e modificato nel tempo, attraverso le relazioni. Mead propose una figura astratta, l’altro generalizzato (“Un bambino acquisisce il senso del sé assumendo quello che è un modo di essere dell’altro generalizzato”). Ognuno di noi, accettando il ruolo che è comune a tutti, si troverebbe a relazionarsi con sé stesso e con gli altri. Ciò significa che in tutti i membri della comunità esistono modelli di pensiero, traducibili in principi e valori, che sono acquisiti dai singoli e che compongono un pensiero di base comune a tutte le persone.   
Athens (1994) nello spiegare il Sé e l'identità, introduce il concetto di Comunità Fantasma. Per l'autore la Comunità Fantasma riveste il ruolo di interlocutore principale nella costruzione del Sé. La Comunità Fantasma rappresenta l'insieme di tutte le nostre esperienze passate più importanti e significative in base al nostro vissuto e alla nostra interpretazione e rivisitate nel corso di un processo dialogico con i nostri altri significativi. L'attribuzione alla comunità dell'essere fantasma è dovuta al fatto che questa è un insieme di opinioni che esistono solo e sempre nella forma delle rappresentazioni mentali che ognuno se ne fa, al tempo stesso però, questa comunità non è realmente fantasma nelle nostre vite reali, in quanto attraverso il soliloquio questa agisce realmente nei modi e nelle azioni che ognuno decide di intraprendere.

Il mito viene definito come un “insieme di idee e sentimenti, tradizioni e attese, condivisi dai membri della famiglia”. Il mito ha una certa tendenza alla stabilità, ma rappresenta anche un sistema di idee che di solito cambia, e può anche scomparire, assieme all’evolvere della famiglia nel tempo; è trasmesso come credenza interna e come tale il suo tempo non è il passato, ma il presente nel quale vive e si esprime. Il mito fornisce risposte ad interrogativi sui grandi temi dell’esistenza (la vita, la morte, l’amore, la solitudine). Il mito non viene raccontato, esso è intrinseco al modello di vita, ai valori ed ai modi di porsi di fronte agli eventi.
Byng-Hall definisce il mito come “l’insieme delle immagini di ruolo in cui tutti i membri della famiglia accettano di riconoscersi”, proponendo che le narrazioni familiari siano legate ai diversi stili d’attaccamento, sulla scia del pensiero di Bowlby (1969).
Secondo Andolfi (1988) quando parliamo di miti familiari ci collochiamo in una storia in cui sono presenti almeno tre generazioni. Nella visione di questo autore, i vari partecipanti vengono sempre a ricoprire alcuni ruoli principali, sui quali si concentrano una serie di aspettative che subiscono, nel corso della storia stessa, evoluzioni differenti: di volta in volta ciascuno può diventare la persona destinata a riscattare un destino sfortunato della famiglia di origine o di uno dei genitori, il capro espiatorio che esprime il fallimento di una serie di sforzi per raggiungere i risultati sperati, la persona che riesce a raggiungere il prestigio sociale che ad altri era stato negato o a fare il matrimonio a lungo sognato.

Le strutture mitiche evolvono, si modificano o scompaiono nel tempo. Talora, quando ciò non accade, finisce per dominare una pseudo realtà, utile per dare risposte difensive alle incapacità elaborative e trasformative del sistema.
Le strutture disfunzionali sono tali perché restano cristallizzate all’interno di modelli interattivi fissi, regole inamovibili imposte da un mito. In certe famiglie con membri psicotici, una delle caratteristiche sembra essere l’arrestarsi, il congelarsi, il cristallizzarsi nel tempo di sistemi d’idee che configurano la rigidità della famiglia stessa. Il ruolo attivo del bambino sarà presente quando, di fronte alla collisione tra mente attuale della famiglia e mandato mitico, potrà diventare proprio lui il destinatario del compito di “stabilizzatore” di un sistema, assumendo così il ruolo di paziente designato. E’ molto probabile che il suddetto paziente designato, si inserisca da protagonista nei circuiti ricorsivi di pensiero che pervadevano la sua famiglia d’origine, quella attuale e lui stesso.
Ogni individuo nasce come entità psicologica del sistema famiglia, attraverso il sentimento di appartenenza creato dal mito e dal suo riconoscersi in esso, ed inizia a costruire la propria identità personale, che deve essere garantita e riconosciuta da uno spazio relazionale di libertà espressiva personale. Si instaura un processo circolare e non antitetico, ma complementare tra appartenenza e riconoscimento del mito da un lato, e affermazione dell’identità individuale dall’altro. Nelle diverse fasi del ciclo, l’evoluzione dei bisogni personali dell’individuo andrà ad intrecciarsi con nuove interpretazioni del mito.
Così il mito potrà a sua volta evolvere e trasformarsi di pari passo con l’evoluzione del sistema familiare.
Il mito di per sé non è una struttura ideativa rigida e deve poter disporre di un grado di flessibilità e di mutabilità sufficiente per essere sempre in sintonia con lo sviluppo dei bisogni dei componenti della famiglia e i mutamenti della cultura e del contesto sociale.
In contesti “sani”, si tende a favorire l’evoluzione, permettendo all’individuo di differenziarsi, facilitandone la crescita, senza che questi sperimenti una dolorosa sensazione di perdita dell’appartenenza familiare. 
Quando invece i riferimenti e i miti che garantiscono l’appartenenza rimangono rigidi e statici, allora può accadere che non solo lo sviluppo e la crescita siano minate, ma anche che si verifichi l’esclusione dal sistema familiare stesso. Allora non c’è spazio per sperimentare l’appartenenza e l’identità e il mito perdura attraverso le generazioni in modo drammaticamente costrittivo per i bisogni personali di evoluzione individuale. Il mito crea una disfunzionalità sistemica che potrà rendere fatale la designazione di un paziente.html/body/p[3]


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