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Il senso del rimorso e del rimpianto nella ciclotimia

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Solitamente gli individui possono scegliere se sentirsi in colpa verso se stessi e provare rimpianto, oppure verso gli altri e provare rimorso, per essersi negati la felicità o per essersela concessa sacrificando quella altrui.

Questa scelta è solitamente umorale, perché gli stati umorali euforici inducono certamente a trasgredire e non rinunciare a ipotesi di felicità, sacrificando senza malizia magari, ma senza riguardo tutto il resto.

Gli stati umorali depressivi, distimici sono la condizione ideale per non far del male a nessuno, ma anche per rimanere con l'amaro in bocca di una vita non vissuta e di occasioni perse per troppa cautela. Il distimico si trova a far di necessità virtù, cioè rispetta e non tradisce semplicemente perché il suo umore non gli lascia altra scelta, ma poi si trova a rimpiangere ciò che non ha assaporato.html/body/p[3]

L'euforico-disinibito invece accetta la colpa che deriva dalle sue trasgressioni, a cui non rinuncia come scelta fondamentale di vita, ma che neanche persegue con malizia. Per questo, sentirà poi un rimorso tanto autentico quanto incomunicabile verso chi ha deluso, ferito o abbandonato.

Chi si prende sia rimorsi che rimpianti è di solito la persona con umore alternante, per due motivi. Innanzitutto, perché nella vita sperimenterà entrambe le condizioni: dover rinunciare a occasioni e consolarsi con il senso di lealtà e di rispetto che deriva dalla mancata trasgressione. In secondo luogo, perché capiterà che durante una fase della vita si alternino fasi umorali che cambiano il senso e il futuro dei proprio progetti. Un investimento promettente cambia colore e diventa un pericoloso salto nel buio. Una nuova relazione entusiasmante si tinge di noia e di rimorso per ciò che si è abbandonato, magari una famiglia o un porto sicuro che si aveva prima. Una vita in un luogo lontano ed esotico diventa una situazione di solitudine e senso di rimorso per aver rinnegato le proprie radici. Una vita libertina e votata alla soddisfazione del proprio ego si trasforma in un senso di povertà e di aridità spirituale con rimorso per la mancanza di basi stabili, di figli, di legami profondi.

L'equilibrio in queste sindromi "ciclotimiche" è proprio quello tra una felicità ricercata e una felicità lasciata passare, che sono entrambi stati umorali più che "oggetti". Per meglio dire, quando l'umore è su si rincorre la felicità, quando l'umore è giù non si riesce a rincorrerla, senza poi sapere se ciò che si rincorre, o si rinuncia a rincorrere, sia autentico e importante.

Nella vita dei ciclotimici si affollano quindi occasioni e ricorse consumate, di solito poi fallite o esaurite, e occasioni perse.
Il ciclotimico perde l'occasione a cui rinuncia da depresso, ma perde spesso anche quella che ha rincorso e consumato, perché questa si rivela effimera, o perché poi non riesce a seguirla fino in fondo, venendo meno l'euforia iniziale. Ecco perché negli anni, e nella maturità, la sensazione del ciclotimico è quella di aver avuto tanto magari, ma di avere anche un vuoto enorme.

La perplessità del ciclotimico sta in mezzo al rimpianto e al rimorso. Aver lasciato troppo presto, o esser tornato indietro troppo tardi. La felicità oscilla tra queste due posizioni, e ad ogni ciclo si riproduce quest'alternanza tra il desiderio di avere di più e il rimorso di essersi bruciati dietro a occasioni illusorie, perdendo quelle importanti. Del resto, non c'è una terza soluzione: rimorsi o rimpianti.

Questa visione esistenziale spiega sicuramente il sentimento generale della ciclotimia, cioè la continua fame di realizzazione e la sensazione di incompletezza, anche quando si è sulla cresta dell'onda, ma tutto ciò non è immutabile.

Il disturbo non consiste tanto nella presenza di questa ambiguità tra rimorsi e rimpianti, ma nell'incapacità di salvaguardare il proprio potenziale di realizzazione, e di renderlo più stabile, in modo da non perdere colpi ad ogni ciclo umorale, e ritrovarsi costretti nel tempo ad una miscela di rimpianti per il futuro e rimorsi per il passato, senza avere nuove opportunità.


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