L'adultizzazione di un'obesa
G. era una ragazza di 24 anni obesa.
Venne da me per un problema di autostima.
Lavorava come commessa in un supermercato. Dopo le superiori decise di interrompere gli studi, anche perché suo padre non avrebbe potuto permettersi di mantenerla ancora. La mamma di G. morì quando lei aveva 12 anni. Ora viveva con il padre e con il fratello di 15 anni.
I nonni paterni abitavano vicino a loro ed erano sempre stati presenti e disponibili.
Mi raccontò di volere molto bene al fratello, di averlo sempre protetto e di avergli fatto da mamma.
G. aveva un brutto rapporto con il padre, che definì freddo e distaccato nei suoi confronti, ma non con il fratello che aveva sempre viziato.
G. pensava che il padre ce l'avesse con lei, perché la riteneva in qualche modo responsabile della morte di sua madre.
La mamma di G. era deceduta per un cancro all'ultimo stadio.
Il padre di G. non si era più rifatto una vita e da quel momento si era buttato anima e corpo nel lavoro.
G. non aveva una vita sociale. Il fine settimana non usciva mai. Le chiesi quanto e in che modo c'entrasse il suo peso in tutto questo. Lei mi rispose che fin dalle elementari tutti la prendevano in giro. Il fatto di essere obesa aveva condizionato tutta la sua vita. Il medico le disse in più di un'occasione di seguire una dieta, ma lei non aveva mai avuto la costanza di portarla avanti. Le spiegai che quando si accumulano così tanti chili, per perderli occorre tanto tempo. Lei mi confidò che fin da bambina aveva sempre mangiato a dismisura e che quella era sempre stata la sua valvola di sfogo per affrontare i dispiaceri. Le chiesi se ci fossero casi di obesità in famiglia: il padre e i nonni paterni erano robusti, ma non obesi, mentre il fratello era magro.
Durante i colloqui emerse che G. si era sempre prodigata molto nella cura della casa, preparando i pasti per il padre e il fratello. Quando non era al lavoro, lavava, stirava e cucinava e questo fin da quando sua madre era morta. G. non aveva vissuto la propria adolescenza e nemmeno la giovinezza che le sarebbe spettata.
G. era un adulta dall'età di 12 anni e comportandosi come tale, le era mancata una parte di vita che le spettava di diritto, ma di cui era troppo tardi potersi riappropriare.html/body/p[3]